Jacques-Alain Miller

AL PALAZZO DELLE STELLINE DI MILANO

18 DICEMBRE 1999

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INTERVENTO I

Fin dal momento della creazione dell'Ecole Européenne nel settembre 1990 auspicai ch'essa desse alla luce una Scuola italiana. Al momento di lasciare la presidenza dell'Ecole Européenne nel luglio 1995, formulai l'auspicio che questa scuola vedesse la luce all'orizzonte del 2000. Questo obiettivo fu riaffermato da Eric Laurent, mio successore, e da me stesso in occasione della riunione del Collegio Nazzareno a Roma il 20 giugno 1998

Il sorgere, nel corso della prima metà dell'anno 1998, di una contestazione interna all'Associazione Mondiale di Psicanalisi sembrava voler risparmiare la SISEP, i cui organi responsabili presero allora posizione senza equivoci in favore dell'orientamento che io andavo imprimendo all'AMP, e che si trovava di colpo ad essere il bersaglio di critiche radicali espresse da varie fonti.

Ciononostante, in seguito all'Assemblea Generale di Barcellona in cui il mio rapporto di orientamento fu approvato ad una schiacciante maggioranza da un voto a scrutinio segreto, apparve, così come non era impossibile prevedere, che parecchi membri italiani dell'AMP, senza per questo aderire formalmente all'organizzazione detta dei Forums nata dalla minoranza di Barcellona, nutrivano una profonda simpatia per buona parte dei suoi temi e delle sue tesi e cominciavano a farsene portavoce e a diffonderli in Italia. Altri membri italiani, senza condividere questi sentimenti, manifestavano comunque comprensione, se non compiacenza, nei confronti di queste opinioni peggiorative ch'essi avrebbero avuto tutti i motivi di considerare come inaccettabili.

In tali condizioni la saggezza avrebbe voluto che si evitasse di proseguire nella direzione di una Scuola italiana se si voleva innanzitutto preservare l'unità del gruppo italiano. Il Consiglio nazionale della SISEP decise malgrado ciò di spingere nella direzione della creazione della nuova Scuola, intraprendendo la redazione di un progetto di statuto ed intrattenendo degli scambi su questo tema con il nuovo presidente della SEP, il quale si sentiva legato dall'orientamento espresso e confermato dai suoi due predecessori già dall'inizio del decennio.

Venni inopinatamente informato a metà settembre a Roma dal Consiglio nazionale della sua decisione di convocare a metà dicembre una riunione a Milano, in cui desiderava vedere prodursi la creazione della Scuola italiana ed alla quale mi invitava nella mia qualità di delegato generale dell'AMP. Pur segnalando come questa creazione fosse prematura, non ritenni di potermi sottrarre a un tale invito. Intrapresi da quel momento una corrispondenza regolare con la recente Presidente della SISEP, Annalisa Davanzo, e con il membro del Consiglio incaricato dello statuto, Rosa Elena Manzetti, al fine di completare la mia informazione sulle realtà italiane, ragguagliando al contempo queste due colleghe sulle condizioni poste dall'AMP alla creazione delle sue Scuole.

Il seguito è noto: la pressione morale oggettiva indotta dalla scadenza del 18 dicembre ha provocato la rottura dell'unità, che era solo di facciata, del gruppo italiano della SEP.

Nel presentare in forma allusiva, ma perfettamente univoca, una visione del Campo freudiano che era la medesima che da più di un anno l'organizzazione dei Forums diffondeva, una lettera, la "lettera a Rosy", permise di intravedere che l'ideologia ostile aveva progredito abbastanza in Italia, al punto di diffondersi per iscritto e di godere di un'ampia connivenza. L'autore riconobbe d'altro canto di essere entrato in collaborazione discreta con questa organizzazione. Altri colleghi si rivelarono influenzati dalla stessa ideologia, pur cercando di attenuarne o di velarne la virulenza.

La Presidente stessa della SISEP, che al momento di assumere questo incarico nel maggio scorso a Bologna aveva tenuto a precisare con franchezza che seguiva a Parigi degli insegnamenti clinici dispensati da un organismo collegato ai Forums, non poté trovare in sé l'energia di difendere l'istituzione che presiedeva nei confronti di una vera e propria critica estremista, tanto da arrivare al punto di affermare a più riprese la sua personale solidarietà nei confronti dell'autore di questa critica.

Il dibattito elettronico, giudiziosamente instaurato lo scorso 1° dicembre dal Presidente della SEP Miguel Bassols in un'ottica da "carte in tavola" ha registrato per fortuna altre prese di posizione.

La prima in ordine cronologico è stata quella di Rosa Elena Manzetti, che pur invitando a "soffermarsi" sulla problematica proposta dalla lettera che le si indirizzava con l'intimità del suo soprannome, ha reso nota la sua disapprovazione sia verso il metodo ed il momento scelto, sia nei confronti della condanna formulata senza appello della struttura stessa del legame nella Scuola. Marco Focchi, da parte sua, ha sottolineato che il trasformismo, "conciliando principi disparati ed eterogenei per tenere in piedi le coalizioni di potere" costituiva secondo lui una soluzione "deteriore" alle difficoltà della situazione italiana. Per finire, Maurizio Mazzotti, tre giorni fa, ha invitato a respingere definitivamente quello che chiama "il doppio gioco", per scegliere senza equivoci la strada dell'AMP. Nella loro scia, abbiamo visto parecchi altri colleghi pronunciarsi successivamente nello stesso senso. Antonio Di Ciaccia, considerando il contributo iniziale come trascurabile, concentrava da parte sua le critiche sul progetto di statuto elaborato dal Consiglio e metteva in evidenza qualche equivoco nella sua redazione, subito riconosciuto, sembra, dal membro del Consiglio nazionale incaricato dell'elaborazione dello statuto.

Ci troviamo quindi in una situazione complessa, ma che è in via di semplificazione accelerata.

Mentre gli uni sottolineano "le proprie contraddizioni" e indicano che secondo loro è proprio di una istituzione analitica il tollerare le "divisioni soggettive", anche nel caso in cui toccassero i suoi responsabili "ai massimi livelli" e li conducessero ad un doppio patrocinio, altri considerano con Marco Focchi che la volontà di far convivere nel proprio discorso opzioni opposte, così come nell'istituzione, rivela un trasformismo desueto, o ancora con Maurizio Mazzotti che non si tratta che di un semplice doppio gioco, ora sventato, fra due opzioni incompatibili e inconciliabili, una favorevole ai Forums e l'altra favorevole all'AMP.

Mentre alcuni membri considerano che le critiche più peggiorative della SISEP e del Campo freudiano meritano tutte d'essere prese in considerazione ed hanno un posto legittimo all'interno dell'istituzione, altri sono di parere contrario: per questi ultimi, superati certi livelli, esistono dei limiti e la critica cessa di essere costruttiva per divenire pura attività liquidatrice.

Tre opzioni si delineano di conseguenza, che si riducono ad un'alternativa:

Opzione A - Se i colleghi italiani considerano che l'imperativo essenziale che s'impone ad essi è quello di preservare l'unità del gruppo attuale e di fare in modo che i due orientamenti che sono stati individuati convivano, allora occorre proseguire nel quadro della SISEP, che si è mostrata fino ad oggi abbastanza flessibile per garantire questa unità, foss'anche di facciata come l'ho prima definita.

Opzione B - Se invece l'imperativo essenziale è ai loro occhi la creazione di una Scuola italiana collocata nel quadro federale della SEP e integrata all'AMP, allora l'unità del gruppo non potrebbe essere preservata con artifici e s'impone la necessità di una discussione sulla sostanza e di una scelta categorica.

Opzione C - Si tratta della trasformazione diretta della SISEP in Scuola. Questa opzione fu a lungo privilegiata; oggi essa risulta esclusa poiché consisterebbe nel trasportare in seno ad una nuova Scuola, ossia in un quadro più rigido, gli equivoci, le ambiguità, le fluttuazioni e le tensioni che abbiamo visto attraversare la SISEP. L'AMP non sarebbe in grado di creare una nuova Scuola che fosse del tipo detto trasformista. Se essa crea una Scuola italiana, sarà affinché vi si riuniscano colleghi determinati a lavorare insieme nel senso dell'orientamento lacaniano, su basi chiare e consensuali, senza che la loro "divisione soggettiva" li porti a simpatizzare con un'organizzazione che si presenta essa stessa come opposta e alternativa all'AMP.

Supponiamo che l'AMP decida di porre le basi di un Scuola italiana per rispondere agli auspici di un gran numero di colleghi e che essa metta in atto a questo scopo una commissione di ammissione ad hoc. Che avverrebbe allora dei colleghi italiani che non vi entrassero, sia perché non lo chiedono, sia perché gli è rifiutato l'ingresso da questa commissione? Essi rimarrebbero membri dell'AMP e della SEP, solo che lo vogliano, e anche membri della SISEP se continuasse ad esistere a fianco della nuova Scuola.

Se al contrario l'opinione dei colleghi italiani privilegia l'unità formale del gruppo, questa sarà garantita, come lo è stata in passato, nel quadro della SISEP. L'AMP non avrà nessuna obiezione a ciò, pur pregando i colleghi sensibili alle tesi dei Forums di volersi moderare e di astenersi da qualsiasi forma di proselitismo in favore di questa organizzazione ostile.

Da parte mia aspetto di raccogliere dal dibattito odierno le indicazioni sull'accoglienza che l'alternativa che vi ho presentato è destinata a ricevere.

L'opzione C è esclusa, ovvero la trasformazione diretta della SISEP in Scuola dell'AMP: per diventare membro o membro associato di una nuova Scuola che dovesse vedere la luce in Italia non basterebbe essere membro della SISEP, vi sarebbe per ognuno da presentare una nuova domanda di adesione, vi sarebbe un'associazione creata a partire da zero, un'associazione che non sarebbe l'erede della SISEP dal punto di vista legale, salvo se le andassero, con la dissoluzione di questa, i suoi beni.

Le opzioni A e B sono quindi possibili e lo sono sulla stessa base: A, il mantenimento della SISEP attuale; B la creazione di una Scuola italiana dell'AMP, alle condizioni dell'AMP.

La seconda opzione, la B, creazione di una scuola, si suddivide essa stessa in due sub-opzioni, a seconda che sussista o meno il mantenimento simultaneo della SISEP. Se non si verificasse il mantenimento della SISEP, i colleghi italiani che non fossero membri della nuova Scuola rimarrebbero a loro piacimento membri dell'AMP tramite una struttura appropriata.

Ho detto sia quello che l'AMP poteva offrire, sia quello che era escluso offrisse. Tutto ciò è ne varietur. Per il resto non ho pregiudizi nei confronti delle indicazioni che risulteranno dal dibattito: come ha scritto Eric Laurent nel suo ultimo contributo, "non posso che auspicare il meglio per i colleghi italiani, ma spetta a loro determinare questo meglio".

Se esisterà una Scuola italiana dell'AMP, sarà quella della discontinuità. Non vi sarà Scuola della continuità. La continuità è la SISEP.

Parigi, 17 dicembre 1999

 

Traduction Kern Sarl, Paris

 

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INTERVENTO II

 

(Mattina)

Panayotis Kantzas ha detto che la Sisep è finita. Io non ho detto questo. Ho detto qualcos’altro: che la Sisep può continuare così com’è, che non diventerà mai una Scuola, ma può essere un luogo di compatibilità per diverse opzioni. Se vogliamo avere una Scuola, bisogna ripartire da zero. Chi dice questo, cioè io stesso, aveva sempre sperato che in Italia le cose si svolgessero nella continuità, nella misura in cui c’era molta più unità nazionale in Italia che non, per esempio, in Spagna. D’altronde questo titolo, nazionale, si ritrova nel titolo del Consiglio e della Segreteria. In effetti, quando si conoscono i due paesi: la Spagna e l’Italia, e il funzionamento dei gruppi analitici del Campo freudiano, si può capire qual è la mia visione della situazione.

Era dieci anni che pensavo che l’Italia avrebbe potuto dare avvio a una Scuola prima della Spagna e che forse la Spagna non avrebbe mai avuto una sola Scuola. Ho cambiato idea. Ho cambiato idea per una ragione molto semplice. Il 28 giugno 1998, con Eric Laurent, pensavo ancora a questa prospettiva continuista. Dopo Barcellona, ho pensato che non dovevo insistere nel senso della Scuola, perché minacciava l’unità del gruppo italiano, dove sentivo delle divergenze e delle tensioni. Ma il Consiglio ha fatto quel che pensava di dover fare. Non sono stato io a dire quello che occorreva fare: è da molto tempo che non dico quello che bisogna fare in Italia.

Ho ritrovato il fax che avevo inviato a Rosa Elena Manzetti, quando ero tornato dall’America Latina, all’inizio del mese di novembre, nel quale le chiedevo a che punto era la preparazione della Conferenza di dicembre. Dico dicembre, perché non mi ricordo più il giorno. E le chiedevo di fare un piccolo panorama della situazione italiana. Pensavo di arrivare molto tranquillamente fino a oggi per vedere che cosa sarebbe accaduto; e con Annalisa Davanzo e Rosa Elena Manzetti ci sono stati degli scambi molto tranquilli ogni settimana.

 

Rosa Elena Manzetti: Anche più di ogni settimana.

 

Jacques-Alain Miller: Del resto ho qui il dossier, con delle questioni, dei malintesi, dei motti di spirito. Allora che cosa è cambiato. Dal cielo è caduta la Lettera a Rosy, dico dal cielo perché noi siamo l’inferno. Deve essere dal paradiso che Maria Teresa ha scritto quella lettera sul nostro inferno. Non penso di aver fatto qualcosa per provocare questa lettera, almeno recentemente. Allora, in quell’occasione, era necessaria una cosa molto semplice. Occorreva che gli organismi regolari della Sisep: il Consiglio e la Segreteria avessero avuto l’idea che quello che era accaduto aveva oltrepassato i limiti tollerabili o almeno non rappresentava la vita e il lavoro, i venti anni di lavoro che sono la vita della Sisep.

Non c’era bisogno di ingiuriare Maria Teresa. Ho scritto un fax a Rosa Elena per dire che cosa Annalisa avrebbe potuto dire. Annalisa avrebbe potuto dire: "Voglio bene a Maria Teresa, l’ammiro, la rispetto, ha fatto molto per me, ha fatto molto per la Scuola, ha fatto molto per la psicoanalisi, ma in quanto presidente della Sisep sono obbligata a dire a Maria Teresa che non si può trattare così una comunità di lavoro alla quale si appartiene come membro del Cartello della passe, non si può dire questo. Dunque, cara Maria Teresa, vuoi ritirare le tue parole?".

Si trattava di una cosa semplice che poteva venire dal cuore e, siccome non veniva dal cuore, io l’ho detta a Rosa Elena perché lo dicesse ad Annalisa, affinché Maria Teresa potesse dire qualcosa che mettesse fine a tutto questo. Non avevo scritto niente sulla lista, non avevo ancora scritto la Lettera a Lucrezia. Scrivevo molte piccole lettere per tentare di salvare quello che era salvabile. E quale parola è giunta? Ho visto lampante come il sole che c’era un patto, che Annalisa non poteva dire nessuna parola che sconfessasse Maria Teresa, che doveva solo dire: "Grazie". E che ogni volta che c’era una parola di Maria Teresa o Binasco, Annalisa era lì per dire: "Ringrazio Maria Teresa o Binasco".

Basta leggere l’opuscolo che avete, per vedere fino a che punto ho visto la connivenza, la compiacenza e la complicità. Non l’adesione formale. Ma la connivenza, la compiacenza; e che tutta la Sisep viveva sotto il peso schiacciante di questa connivenza ostile al Campo freudiano: altrimenti non leggerei ciò che si scrive. Ho visto quindi fin dove arrivava questa rete di connivenza e di debolezza.

Da un lato, c’era la forza di una ideologia. Maria Teresa poteva scrivere tutto questo e nessuno si alzava per dire: "Non puoi farlo". E, non solo nessuno si alzava per dire: "Non puoi farlo Maria Teresa", ma delle persone si alzavano per dire: "Grazie!". E sullo sfondo di tutto questo, Annalisa dà dei certificati di buona condotta a Maria Teresa. Testimonia di fronte a tutti noi che Maria Teresa è una buona operaia della Scuola. Ci si poteva domandare: "Ma che Scuola si sta preparando!". E rispondere: "Una Scuola dove si scrivono lettere di questo tipo"; e dove si dice: "Grazie". E poi il coordinatore del Consiglio, Giorgio Tonelli, sviluppa il pensiero di Maria Teresa.

Allora, chi sono i responsabili della Sisep?: Annalisa Davanzo e Giorgio Tonelli, e loro due vengono a sviluppare il pensiero di Maria Teresa e a ringraziarla. Non so perché prendo il tono della drammaticità o perché mi indigni, bisogna prendere invece il tono della commedia: gli uni con gli altri si garantiscono che stanno costruendo la Scuola di cui abbiamo bisogno? Nessuno si è alzato per dire a Maria Teresa quello che bisognava dirle, almeno gentilmente, fino a qualche giorno fa. Perché questo accadesse è stato necessario che io inviassi la mia lettera.

Mi rendo conto di essere un po’ ingombrante per voi. Capisco che Tonelli, che ama le rotazioni, mi trovi inamovibile. Ma stavo andandomene dall’Italia. Erano ormai quattro anni che non facevo più niente in Italia. Ho lasciato voi a occuparvi di tutto questo. E perché occorre che io ritorni? Perché dopo quindici giorni bisogna che torni e sia io a fare il lavoro e a dire quello che c’è da fare? Perché occorre che io ritorni? Guardate un po’ come avete rotto quello che avevate in mano. Eravate voi a orientare il Consiglio e la Segreteria nazionale, guardate dove ci si ritrova adesso.

Le persone sono eccellenti. Tutti possono sentire nella Lettera a Lucrezia, e anche in quella che ho inviato privatamente, fino a che punto fossi deluso dall’atteggiamento di Maria Teresa. Si è delusi da coloro nei quali si hanno riposto delle speranze, si è delusi da quelli che si ama. Non scaglio la pietra contro Maria Teresa, affatto. Almeno lei ha scritto e firmato le cose. Ma un’istituzione non può sostenersi se i suoi responsabili non si alzano a difenderla.

Ho scritto lettere a tutti per spiegare queste cose: a Maria Teresa, a Rosa Elena, ho scritto una lettera nella lista degli AME. E’ difficile essere membri di un Cartello della passe e scrivere queste cose sull’istituzione alla quale si appartiene, e dire che questa istituzione è dominata da un Altro del godimento che trasforma tutti quanti in un ospedale.

C’è un Consiglio dell’AMP che si terrà in gennaio, proporrò di terminare l’attuale ciclo della passe nella Sisep, affinché quello che è iniziato possa compiersi. Ma per il seguito dirò che non considero che ci siano le condizioni perché nella Sisep si possa fare la passe. Svolgere la passe nella Sisep era un atto di fiducia nella possibilità di autoregolarsi da parte del gruppo italiano. Un atto di fiducia nei confronti degli AME italiani. Ma non funziona. Binasco attacca un passeur, questo passeur attacca un AME, un altro AME considera che siamo in un deserto: così non si può fare una Scuola. Io non escudo nessuno dalla Scuola. Escludo una opzione, credo di poter dire, con l’appoggio del consiglio dell’AMP.

Per fortuna c’è Internet, nel Consiglio ora tutti hanno Internet, dunque tutti sono al corrente di quello che succede e abbiamo una conferenza settimanale attraverso Internet. La questione non è sulle persone. C’è una opzione che è esclusa: ed è l’opzione di trasformare la Sisep in Scuola, e vorrei che qualcuno mi dimostrasse come si potrebbe fare. Ne uscirebbe una Scuola di mostri. Quindi o la Sisep continua in tono minore: continuerà senza la passe, come un luogo di discussione, oppure non so, non cerco di inventarla ora. Se invece c’è una Scuola, bisognerà ripartire da zero.

E’ interessante per i giovani ripartire da zero. Perché quando si è giovani si arriva in posti dove c’è già un certo numero di anziani, che sono veterani, che hanno titoli anziani e che dimenticano forse che i titoli per anzianità bisogna sostenerli giorno per giorno. Quindi se si comincia partendo da zero, i titoli di anzianità continuano ad avere il loro posto, ma i giovani hanno l’occasione di mettersi alla prova, nel dibattito così come nella costruzione: guardate Panayotis che sottolinea di essere arrivato più tardi degli altri. Il vantaggio di partire da zero è che si riparte tutti nello stesso tempo, quelli che lo vogliono, nella costruzione.

Dunque, se può essere faticoso da una parte, dà sollievo dall’altra. E il vantaggio maggiore è che non si potranno più dire certe cose. Si può dire tutto, ma non in tutti i posti. Quindi penso che se riusciremo a costruire una Scuola più omogenea si lavorerà meglio e che riuscirà molto bene a riconquistare quello che ha perduto, se perdite ci saranno, se un certo numero di persone non vorrà raggiungerla.

Ho l’impressione che il gruppo italiano sia arrivato ad avere una massa critica, per cui può sostenere certe perdite, senza che le si augurino, per spingersi avanti con persone che, per ora, sono sulla stessa lunghezza d’onda. Un po’ come si è visto nel dibattito.

Non posso essere io a dire che cosa ciascuno preferirà e non posso dire che ciascuno preferirà la stessa cosa. Ancora una volta non sono le persone, si tratta della loro capacità di cambiare. D’altronde Focchi ha scritto in un testo, che in un’altra configurazione noi siamo gli stessi e tuttavia siamo diversi. Penso che dovesse esserci qualcosa di non perfettamente a punto nella configurazione della Sisep e al suo interno persone eccellenti hanno perso un po’ la bussola.

Se Annalisa mi avesse domandato un parere. Se mi avesse detto che aveva voglia di seguire tale insegnamento clinico, le avrei detto: se vuol seguire questo insegnamento lo faccia Annalisa e resti membro della Sisep, ma non assuma la presidenza, perché come presidente di un’associazione ci sono cose che bisogna dire d’ufficio, e non è normale che lei è diventata presidente. Io pensavo che avrebbe fatto uno sforzo per essere più vicino al suo incarico. Le avevo detto che non avevo trovato molto opportuno il suo discorso a Bologna, ma le avevo dato ancora fiducia. E poi penso che ancora per altre ragioni non avrebbe dovuto essere presidente. Quando la presidente era Rosa Elena, lei era nella Segreteria. Si era prevista una rotazione, dopo essere stata due anni nella Segreteria, quando Rosa Elena era presidente, non è normale, nella prospettiva di rotazione a cui tiene Tonelli, quello che è avvenuto. Me ne sono accorto, ma non ho detto niente, perché era una decisione del Consiglio italiano. Ma con un certo numero di cose di questo tipo è possibile che si arrivi a dei disfunzionamenti. I suoi amici se l’avessero ben consigliata le avrebbero detto: "Annalisa nella vita di un gruppo ci sono dei momenti in cui il presidente deve fare il presidente"; lei ha tutto il diritto di avere delle simpatie o degli interessi per degli insegnamenti diversi da quelli del gruppo a cui appartiene, ma in questi casi non bisogna assumere degli incarichi ai massimi livelli.

Quindi c’è in questo caso una distribuzione che non si può mettere nei regolamenti, che richiede una gestione quotidiana degli affetti nel gruppo, è quello che chiamerei una saggezza, e penso che, malgrado le apparenze, questo Consiglio non abbia avuto saggezza. E’ stato troppo passionale, ha voluto la Scuola a ogni costo. Ma saggezza avrebbe voluto che si misurassero i rischi di sottoporre la Sisep a questa accelerazione.

E poi si paracaduta il delegato generale in mezzo a tutto questo. E non è il delegato generale che ha fatto scandalo, è Maria Teresa che è stata motivo di scandalo. Si può dire che non ci sarebbe stato nessuno scandalo se il delegato generale avesse chiuso gli occhi. Ma ho scritto una lunga lettera per spiegare come la lettera di Maria Teresa cercasse di far chiudere gli occhi e io non li ho potuti chiudere.

Dunque non sono stato io a dare scandalo e non direi che anche Maria Teresa l’abbia dato. E’ una situazione mal pensata, c’è un divario tra la vera sostanza del gruppo e l’accelerazione che questo gruppo ha prodotto. Dunque il Consiglio e la Segreteria hanno mancato di saggezza. Annalisa ha mancato di saggezza. Ma mi va bene che manchi di saggezza. Forse Tonelli mi trova un po’ imprevedibile, un po’ inquietante, sconvolgente. Le dico che sono molto meno sconvolgente di lei, con il mio tratto un po’ burattinesco, sono un saggio e altri che hanno l’aria di essere saggi sono a volte molto imprudenti.

Credo che da tutto questo imbroglio ne possa uscire qualcosa di buono, ne possa uscirne qualcosa di diverso da delle esclusioni, non escluderemo nessuno. Può uscirne una ricomposizione del gruppo italiano su solide basi, ma bisognerà che mi sopportiate per un po’ di tempo: esisterò ancora troppo. Credo che se il gruppo italiano deciderà di andare verso una vera Scuola dell’AMP occorrerà - dato che non si è ancora delineato in questo gruppo un nucleo direttivo saggio, malgrado la grande qualità delle persone – che per un periodo me ne occupi io direttamente. Ho già fatto progressi in italiano, comincio a tradurre, il primo testo alla cui traduzione ho collaborato è la Lettera a Rosy di Maria Teresa Maiocchi, a partire dalla traduzione di Francesca Biagi con il contributo di Michelle Daubresse. Poiché mi sembrava di non cavarmela male con un gran dizionario e mettendoci un po’ di ore, ho rivisto la traduzione del testo di Focchi fatta da Francesca Biagi e poi alla fine mi sono lanciato da solo nella traduzione del testo di Mazzotti, che gli ho inviato per vedere se andava bene. E mi ha detto che andava bene, mi ha dato un bel voto. Continuerò a studiare l’italiano, spero un giorno di poter parlare l’italiano come Eric Laurent. Non so se sia la famosa invidia.

 

 

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INTERVENTO III

 

(Pomeriggio)

 

Ho l’abitudine di preparare i miei interventi e quello di questa mattina l’ho scritto interamente. L’ho fatto tradurre a Parigi da traduttori professionisti e l’ho fatto fotocopiare per portarlo io stesso qui. Evidentemente, il secondo intervento da me fatto, e che è stato provocato dalla annotazione un po’ inesatta di Martin Egge a proposito di Annalisa Davanzo, mi è venuto dal cuore.

Questo terzo intervento verrà dal fondo di una profonda fatica. E’ un uomo che ha passato la notte in bianco per venirvi a parlare, a causa della sua meticolosità. Ho voluto riclassificare tutte le centinaia di e-mail che ho ricevuto e inviato in questi ultimi giorni, rileggere i più interessanti e cercare di cogliere quello che mi era sfuggito. E ora mentre vi parlo comincio a sentire le ore di veglia accumulate.

E’ vero, come ha ricordato Miquel Bassols, le voci che si sono espresse in questa sala sembrano unanimi per andare verso una Scuola italiana, quasi nessuno ha parlato contro Non è una novità; era così anche prima e questo non risolve il problema. Il problema di quale Scuola, di come distinguere tra una vera Scuola dell’AMP e una falsa Scuola dell’AMP.

Ho portato per caso il piccolo scambio di e-mail che ho avuto nella notte con Alfredo Zenoni. Vi posso anche raccontare tutta la storia se volete. Riccardo Carrabino - che del resto è anche lui estremamente meticoloso come me e che è riuscito a fare il moderatore della lista italiana standosene a Varsavia dove è ora, queste sono cose già del XXI secolo - Riccardo Carrabino mi ha fatto notare che non era riuscito a inviare un messaggio: era quello di Alfredo Zenoni, che era arrivato praticamente al termine del tempo prefissato ed era arrivato sotto forma di un testo codificato, che Carrabino non era riuscito a leggere. Siccome non voglio che niente sfugga, ho inviato un e-mail a Carrabino pregandolo di inviarmi l’e-mail di Zenoni. Ho inviato io stesso un e-mail a Zenoni, ieri sera alle 20,16 dicendogli: "Caro Zenoni amerei leggere il vostro messaggio che Carrabino non ha trasmesso, me lo può inviare in testo aperto, prima delle cinque di mattina di sabato? Jacques-Alain Miller".

In un’ora ho ricevuto la risposta di Zenoni: una risposta molto curiosa - è interessante seguire queste piccole cose. Mi dice: "Caro Jacques-Alain Miller" – l’invio in attachments lascia pensare che fosse un testo sviluppato e argomentato, e in effetti per Internet si inviano dei testi in attachments quando si vuole che compaiano lunghi e di cui sia rispettata esattamente la composizione tipografica. Dunque Zenoni dice: "Il testo è molto corto". E’ curioso perché invia a Carrabino un testo molto corto all’ultimo momento che è difficile da aprire e che non riesce a essere trasmesso. "Riprendo quello che avevo scritto nel 1989 in sintesi: è un saluto agli amici che domani si ingaggeranno in un lavoro estenuante".

A questo punto vi leggo il messaggio di Zenoni, che è stato salvato dalla scomparsa totale e di cui poi ho l’impressione che non avesse tanta voglia che lo si leggesse, lo leggo in italiano:

"Cari amici e colleghi, gira e rigira si arriva sempre allo stesso punto come è già successo più di una volta in Francia, in Belgio, in America Latina e altrove, quello di un’alternativa al di là della quale non si può andare se non scegliendo uno dei due termini: o la creazione di una struttura federativa tra gruppi, cenacoli, circoli, feudi all’insegna del sacrosanto principio del rispetto delle differenze o delle autonomie locali, o la creazione, da parte di soggetti che hanno ciascuno un rapporto singolare con la causa analitica, di una comunità di lavoro vettorizzata da un orientamento condiviso di questo rapporto e cioè di una Scuola. E’ venuto ora il momento di scegliere anche in Italia. Buon lavoro, per questo sabato. Vostro, Alfredo Zenoni, Bruxelles, il 16 dicembre.

Allora gli ho inviato una risposta che è partita alle 00,22 - a 00,22 del resto non sapevo più molto bene cosa facevo, perché nel frattempo avevo risposto ad altri e-mail, questo ha un rapporto con quello di cui si parla, cioè che tutti sono per la Scuola. Mi scuso se è un po’ acido.

"Caro Zenoni, sono sempre contento di leggere le sue parole, sempre ben pensate e ben scritte, se mi permette di dirlo. Il problema attuale è che le versioni italiane dei Forum sono tra di noi e gridano a più non posso: ‘Scuola!, AMP!, Scuola!, AMP!’ Difendono con forza in tal modo, il loro diritto imprescrittibile di parassitare o vampirizzare il Campo freudiano ovvero, come è avvenuto tempo fa in Francia, il diritto al plagio. Bisogna allora lasciarsi parassitare, vampirizzare o plagiare? Sì, certo, in un certa misura, ma quando il parassita, il vampiro, il plagiario ebbro nella sua impunità, si mette inoltre a ingiuriare, a negare, a sporcare il parassitato, il vampirizzato, il plagiato, esigendo che si comporti da San Sebastiano. Allora viene il momento in cui o si muore trafitto o si prende l’arco e le frecce. A lei, che vedo così poco, cordialmente suo".

Era mezzanotte e ventidue, ero un po’ innervosito e ho risposto così, ma questo è il problema. Il problema di cosa vuol dire costruire una Scuola dell’AMP, dato che non sono costruite tutte sullo stesso modello e ciascuna ha la propria storia particolare. Il senso delle Scuole dell’AMP è flessibile, ma, ciononostante, ci sono dei limiti, a un certo punto non si ha una Scuola dell’AMP ma si ha tutta un’altra cosa; e si sarebbe potuto avere in Italia una Scuola che sarebbe stato il frutto di un coito mostruoso tra l’AMP e il Forum. Penso che sia una copula che non deve avvenire e del resto mi assumo tutti i rischi quando dico questo, perché l’ideologia dei Forum in Italia non vuole individualizzarsi, perché non vuole assumersi la costruzione di una Scuola dei Forum. Vuole invece incollarsi alla massa che è quella del Campo freudiano. Dunque mi assumo dei rischi: di non provocare solo la creazione di una Scuola dell’AMP, ma di provocare la creazione di una Scuola dei Forum. Quindi, mi ritroverei io il padre della Scuola dei Forum. Del resto sono un po’ padre dei Forum: avendo sottolineato, a un certo punto, che per il progresso del Campo freudiano vi erano certi limiti da segnare, a partire dai quali era meglio che ciascuno costruisse la propria organizzazione. E così le cose si sarebbero potute svolgere bene: un divorzio per consenso reciproco. Tutto questo per dire che bisogna fare attenzione alla Scuola che noi costruiamo, se ne vogliamo costruire una. Questo mi porta a dire: ecco qualcosa che occorre esaminare insieme.

Dunque, penso di poter annunciare una decisione, una decisione che è nel dominio di quello che io posso decidere, come delegato dell’AMP che dispone di una delega di potere esecutivo. Del resto io posso proporre questa decisione al Consiglio dell’AMP e chiedere al Consiglio dell’AMP di ratificarla: si tratta di convocare un nuovo Simposio dell’AMP in Italia. Un Simposio non è una conferenza istituzionale, è un luogo di conversazione ma anche di lavoro. Abbiamo già avuto un Simposio dell’AMP in Italia, a Roma; ed è stato in occasione di quel Simposio che si è potuto discutere dell’introduzione della passe in Italia.

Ci sono stati tre simposi dell’AMP: il primo a Buenos Aires sulla nomina dei primi AE argentini, il secondo è stato il Simposio italiano a Roma e il terzo si è tenuto a Parigi ed è stato uno dei miei ultimi sforzi per evitare il cammino verso la scissione. Proporrò al Consiglio dell’AMP di convocare il quarto Simposio mondiale dell’AMP per il 19 e 20 febbraio prossimi, lo dico senza indicare quale città, perché le ricerche che ho fatto condurre in questo senso non si sono ancora rivelate conclusive. Attenderò dunque di avere conferma dell’accordo del Consiglio dell’AMP, nei primi giorni del mese di gennaio e la conferma della possibilità di disporre di sale in più città italiane, ma confermo fin da ora la data del 19 e 20 febbraio per studiare la nozione di Scuola dell’AMP, ed eventualmente raccogliere le testimonianze di colleghi francesi e spagnoli, su questo tema, ed evocare dei problemi pratici, precisi e positivi. Per esempio: quante volte i membri di questa Scuola possono riunirsi in un anno. Questa è una questione importante che anche in Spagna non è stata ancora regolata e che Rosa Elena Manzetti a un certo punto della sua introduzione ha evocato. Ma anche l’articolazione delle Segreterie locali con la Segreteria nazionale. Infine, occorre che si svuoti l’ascesso con il pus che si accumula attorno alla questione dell’Istituto.

Entro nella questione dell’Istituto? Ho avvicinato questo argomento in tanti e-mail che ho inviato e in particolare con Antonio Di Ciaccia che fa molto per questo Istituto, che lavora molto perché funzioni e attorno a lui ci sono tante persone che si danno molto perché questo Istituto funzioni. In uno di questi scambi di e-mail lui ha avuto l’impressione che io gli rimproverassi qualcosa relativamente all’Istituto e mi ha inviato un e-mail che io non cito, se non per dirmi che avrebbe offerto le sue dimissioni, se gliele avessi chieste, all’istante. Ho preso altri e-mail prima di rispondergli, attendendo che si calmassero le acque.

Poi ho scritto a mano tre principi che mi orientano nella questione dell’Istituto. Non ho ritrovato il fax, che senz’altro Antonio Di Ciaccia ha conservato, ma l’ho ricomposto a memoria, e l’ho battuto a macchina durante la mia notte bianca. Posso leggervelo, ci sono tre principi che ho scritto ad Antonio in questo contesto per fargli notare che non gli rivolgo alcun rimprovero. Come primo principio ho scritto: "Io sono il responsabile dell’Istituto e della struttura dell’Istituto; io ho compiuto l’atto e lei fa il lavoro. Secondo: dappertutto nell’Istituto del Campo freudiano sono partigiano per una concentrazione della responsabilità, tanto completa quanto lo può consentire l’efficacia. Lo sono ancor di più in Italia perché l’Eros italiano è debole – e darò degli esempi di questo. Terzo principio: dovunque, nell’Istituto del Campo freudiano, sono per la più estesa partecipazione intellettuale possibile, sia a livello dei docenti sia degli Allievi per quanto riguarda la vita dell’Istituto. Partecipazione e non già decisione. Partecipazione vuol dire deliberazione prima della decisione e controllo dopo la decisione".

Avrei potuto trovare anche altri principi. Allora ho scritto sul fax: ecco i primi principi che ci dirigono. Ma questi erano piaciuti talmente ad Antonio che mi ha detto: vanno bene questi, conserviamo questi. Così rendo pubblici questi principi perché si possa anche criticare, perché no. Ma credo che specialmente in Italia abbiamo salvato la situazione applicando questa politica. Noi, come abbiamo questo quadro di lavoro che è la Sisep? Per quale ragione siamo legati alla Sisep? Io parlo di ucciderla la Sisep. Considero che la Sisep si sia suicidata, e questo mi dispiace. Io non ho potuto accettare il modo in cui Maria Teresa ha trattato la Sisep nella sua lettera, perché è il risultato di venticinque anni di lavoro iniziati a partire dal lavoro di Lacan.

Se voi leggete l’ultimo contributo di Eric Laurent che è apparso su Internet vedete che anche lui ama la Sisep. Noi abbiamo parlato al telefono, per domandarci se in Italia si può fare meglio della Sisep, che è un organismo vivente, diversificato e che progredisce, mentre una Scuola è più esigente e più rigida. La Sisep è il risultato di tutta la storia, di una storia che passa dall’Istituto stesso e da Antonio Di Ciaccia.

C’è una cosa che mi piacerebbe molto che si facesse, è la storia del movimento lacaniano in Italia, almeno il nostro. C’è un lavoro da fare perché i documenti esistono, per vedere che cosa sono stati questi venticinque anni. E l’ostinazione non è quella di una notte o di quindici giorni ma quella di venticinque anni. Mi ricordo ancora il dottor Lacan partire per l’Italia dicendo che avrebbe ottenuto la creazione di una Scuola italiana. E poi, dopo, ritornando in Francia: infarinato Lacan. Occorre dire che Lacan ha proposto l’idea della creazione di una Scuola o per lo meno di un gruppo a Contri e a certi che conoscono Contri. E, siccome Contri era il suo analizzante si può supporre che Lacan lo conoscesse e invece non lo conosceva, non lo conosceva sul piano psicologico e politico: essere l’analista di qualcuno non vi dà informazioni su questi elementi. L’ha proposto a M. Drazien che non ho più visto da tanti anni, a causa della sua storia dei Group, mentre era un’amica da vecchia data, ed ha fatto questa proposta anche a un certo terzo. E per fortuna, si è detto che questa Scuola e questo gruppo non è mai esistito.

Allora che cosa è accaduto: Lacan voleva creare qualcosa che si sarebbe chiamata Cosa freudiana e, mentre stava discutendo questo con loro - almeno è quello che ha detto Drazien - Contri ha depositato questo nome (Cosa freudiana) come suo. Poteva essere una calunnia, in ogni caso quando Lacan è ritornato ha detto che non era riuscito in niente. Questo accadeva nel ’74 o ’75 all’epoca della Nota agli Italiani. Bisogna ritrovare i documenti e per fortuna la maggior parte dei testimoni vive ancora. Poi c’è la dissoluzione dell’Ecole Freudienne de Paris, e a partire da quel momento certi Italiani cominciano ad arrivare a Parigi. Mi ricordo dell’arrivo di un gruppo di tre persone: Rosa Elena, Amelia e Marco Focchi. Mi ricordo di Viganò e Binasco con la rivista Freudiana, mi ricordo che la rivista Freudiana ha cessato di essere pubblicata quando Paola non ha accettato certe soluzioni, bisogna conoscere tutti questi dettagli. Del resto, queste cose di cui non conosco l’esattezza, mi hanno sempre dato l’idea che Paola fosse una donna potente capace di far scomparire le riviste. Non posso dire quando ho conosciuto Maria Teresa, se in quel periodo oppure no. Ci conosciamo da quel periodo. Poi Mazzotti, Turolla, Ambrogio Ballabio ecc. Non me ne sono occupato subito perché ero occupato a costruire l’Ecole de la Cause freudienne, ma dal momento in cui fu costituita facemmo un numero speciale italiano de La lettre mensuelle che era in un grande formato, l’abbiamo pubblicata con la copertina verde, e la proposta era quella di un numero che raccogliesse testi di Italiani. E abbiamo convocato a Milano in marzo o aprile 1983, durante il periodo nel quale facevo il mio Seminario dal Sintomo al fantasma, del resto c’è una lezione nella quale ne parlo, abbiamo convocato un convegno sugli effetti terapeutici dell’esperienza analitica, nel quale c’erano almeno centocinquanta persone e che fu un successo. Ricordo che c’era una superba locandina, solamente tipografica, con un fondo blu magnifico, scuro, con delle lettere bianche.

Nel mese di luglio ho visto la Segreteria del gruppo, che era composto da Maria Teresa Maiocchi, Ambrogio Ballabio e anche Contri che era, secondo me, l’ispiratore e il perno del gruppo. Ci si è ritrovati a Parigi nella sala del Direttivo dell’Ecole de la Cause freudienne; era il nove luglio 1983, faceva molto caldo. I nostri colleghi italiani insistevano molto perché venissero fatte delle differenze tra i membri italiani. Non dirò su quale principio. E ho detto di no, in un modo un po’ arrabbiato, a causa della loro insistenza, del caldo; è un ricordo personale, forse Maria Teresa ha altri ricordi. Poi verso la fine dell’83 o all’inizio dell’84 appresi di colpo che Contri aveva creato il gruppo Lavoro psicoanalitico, portando con sé i due Segretari di questo insieme: Maria Teresa e Ballabio. Fu uno shock. Come risposi a questo? Con fair play. Quando c’è qualcosa che non potete impedire è meglio accettarla. Siccome ero stato avvertito che questo gruppo si sarebbe riunito a Milano, ho preso l’aereo e sono venuto ad assistere alla presentazione di Lavoro psicoanalitico. Questo gruppo faceva riferimento al Campo freudiano e tutti gli altri invece erano pronti a mettersi insieme sotto l’egida della Cause freudienne, ma non volevo creare delle divisioni in Italia e non volevo affatto espellere il gruppo di Contri e di Maria Teresa anche se potevo considerare che non era stato affatto rispettato il contratto iniziale. Dunque ho provocato una specie di dispersione invitando i differenti colleghi che erano lì a creare dei gruppi e a far prosperare quelli che lavoravano con loro, e che tutti questi gruppi si riferissero poi al Campo freudiano. Alcuni furono un po’ delusi, ma in ogni caso si sono messi al lavoro. E abbiamo visto nascere il Centro Studi, Agalma, e retrospettivamente rendo omaggio a questi gruppi, perché è stata la conditio sine qua non dell’insieme che noi costituiamo oggi.

Solo che dopo qualche anno non si poteva andare al di là di certi limiti La situazione era stagnante. In fondo ero meno implicato nelle questioni italiane, venivo a prendere delle sberle ed ero in piena azione in quel momento, facevo un po’ di negligenza calcolata. E poi un giorno, al mio Seminario di DEA, ho incominciato a parlare con Antonio Di Ciaccia e a intravedere che potevo fare qualcosa per l’Italia facendo leva su tre Italiani esiliati in Belgio: Antonio Di Ciaccia, Virginio Baio e Alfredo Zenoni, che formavano una specie di confraternita, se posso dire, ma che mi offriva una specie di punto di Archimede, un punto duro, solido, unito, convinto. Forse con non molta divisione soggettiva al livello della politica della psicoanalisi, certamente ciascuno di loro ha la propria divisione soggettiva su altri livelli, ma con poca divisione soggettiva sul piano politico. E, siccome ce ne sono altri che ne hanno troppa, questo produce un equilibrio. Grazie a questo diamante ho potuto sollevare qualche cosa dell’Italia. Avevamo annunciato che sarebbe uscita una rivista italiana del Campo freudiano, abbiamo chiesto ai colleghi italiani di parteciparvi, così abbiamo potuto prendere due piccioni con una fava, perché abbiamo creato La Psicoanalisi, e la creazione de La Psicoanalisi forse ha provocato la creazione di Agalma, la rivista Agalma, che è stata un’eccellente rivista di cui deploro la scomparsa. Tutto questo sulla base della collaborazione con i tre esiliati, che per il fatto stesso di non essere in Italia non entravano di fatto in tensione con quello che c’era lì. Da qui si sono potute proporre delle iniziative d’insieme in Italia.

Del resto, sempre con Antonio Di Ciaccia ho potuto elaborare la risposta da apportare alla legge Ossicini. Vi ricordo che quando ho appreso che vi erano delle buone chance che la legge Ossicini venisse approvata dal Senato, grazie ad Anne Dunand ho avuto un appuntamento con il senatore Ossicini, che mi ha ricevuto nel suo ufficio di vicepresidente del Senato dove ho cercato di spiegargli che questa legge non andava bene per la psicoanalisi. Lui però aveva voglia di fare questo scherzo ai colleghi italiani, assicurandomi - "Caro dott. Miller" - che se avessi proposto un Istituto lui l’avrebbe fatto accettare.

E’ così che dal 1987 data della creazione de La Psicoanalisi e dal 1986 data di pubblicazione de Il Mito individuale del nevrotico, sono tredici anni dunque che io lavoro con Antonio Di Ciaccia, e questo è stato un elemento decisivo per la situazione italiana. E ho sempre conservato il ricordo dello stato di dispersione dei lacaniani in Italia prima che io iniziassi a lavorare con Antonio Di Ciaccia. E‘ vero che non credo che una Scuola italiana sarebbe vivibile senza la mediazione internazionale. E senza la pressione che viene imposta dall’insieme della Scuola ci sarebbe stata una balcanizzazione, che si potrebbe chiamare arcipelago e che abbiamo conosciuto molto bene in passato.

E’ la stessa cosa in Argentina. Ora è la Scuola Argentina a essere la più importante nel mondo. Se vi raccontassi che cos’erano le riunioni dei gruppi argentini quando andavo a Buenos Aires, e man mano che ci si avvicinava alla creazione della Scuola, l’aria dantesca che avevano queste riunioni nella notte! I lacaniani sono così, è una razza, sono ribelli, a volte fanno degli appelli al grande Altro, però contemporaneamente dicono che il grande Altro non esiste. Rifiutano lo standard, la gerarchia, i regolamenti e mettono in primo piano la divisione soggettiva e normalmente sono votati alla dispersione. E’ solamente uno sforzo nella direzione contraria che può permettere al lacanismo di esistere, nel senso contrario alla dispersione, di difendersi e anche di difendere gli altri. Non siamo qui solamente a combattere per noi stessi. Noi abbiamo un incarico, un certo destino della psicoanalisi. Penso che sia venuto il momento di raccogliere dei documenti su questa storia, di cui non dobbiamo arrossire, per reperire esattamente le nostre posizioni e potrebbero essere degli elementi da discutere nel quarto Simposio dell’AMP.

Trovo appassionante arrivare a costruire una Scuola italiana dell’AMP, l’ho sempre voluto. Il punto è trovare come. Non bisogna solo che i pensieri si intendano, ma che anche i pensieri riposti si intendano. Ma voglio spenderci tempo. Allora so già che me si rimprovererà di esistere troppo, ma dato che me lo si rimprovera questo ormai da quattro anni in Francia, accetto il rischio, del resto all’inizio di questo processo ho avuto uno scambio con Focchi, e gli ho detto: "C’è uno spazio per poter fare qualcosa dal momento che vengo?". E mi ha detto che se io non fossi venuto mi si sarebbe accusato di negligenza o di vigliaccheria e che se fossi venuto mi si sarebbe accusato di prepotenza e di intrusione.

Insisto su questo punto: c’è qualcosa da fare con quello che questa sala ha manifestato durante questa conferenza istituzionale. Forse non è chiaro, forse c’è un po’ di tutto in quelli che fanno professione di fede, tutti i pensieri riposti, ma il corteo si è messo in marcia verso la direzione della Scuola dell’AMP. Prima di arrivare al Graal, prima di arrivare a San Giacomo di Compostela, ci sono molte stazioni, molte sofferenze, molte notti bianche, sono comunque d’accordo per cominciare.

 

Trascrizione di Ezio De Francesco