AVERTISSEMENT

Il se déroule actuellement en Italie, depuis le 1er décembre, un débat électronique à l’initiative du Président de l’École Européenne, Miquel Bassols. Ce débat est prévu pour se poursuivre sur la liste AMP-Corriere, modérée par Ricardo Carrabino, jusqu’au 16 décembre ; une Conférence institutionnelle le prolongera, qui se réunira à Milan le 18 décembre. L’enjeu de ce débat intéresse l’ensemble de l’AMP, dès lors qu’il s’agit de la possibilité ou non de créer en Italie, dans le cadre de l’EEP, une École italienne, comparable à l’École qui naîtra en mai prochain à Madrid. Les contributions principales à ce débat seront régulièrement reprises sur le site.

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ÉCOLE EUPOPÉENNE DE PSYCHANALYSE

IL DIBATTITO DELLA SCUOLA

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1ER DÉCEMBRE 1999

Communiqué de l’EEP

OUVERTURE DU DÉBAT DE L’ÉCOLE EN ITALIE

par Miquel Bassols

Aux collègues de l’EEP et, plus particulièrement, de la SISEP

Chers collègues,

La lettre de notre collègues Maria-Teresa Maiocchi à "Rosy" (Rosa-Elena Manzetti), qui vient de paraître sur la liste AMP-Corriere, nous invite à un débat de fond sur l’Ecole. De quoi s’agit-il ?

Du lien social propre à faire Ecole, des formes d’in-existence de l’Autre qui lui conviennent, de l’"invidia" que cela produit — de façon, semble-t-il, inhérente à ce lien —, enfin de l’Ecole que nous voulons, et qui, à mes yeux, ne saurait être d’aucune façon un "archipel", fait d’îles isolées les unes des autres. Voilà en effet certains des thèmes du débat que nous avons à mener sous les formes de la conversation, où la courtoisie des propos n’implique pas de renoncer à l’authenticité du dire. La lettre de Maria-Teresa Maiocchi a le mérite d’avoir donné le signal du départ à ce débat nécessaire. Elle l’a fait sans attendre la date fixée par le Conseil et le SN de la SISEP, le 18 décembre à Milan, où je serai, en compagnie du délégué de l’AMP et d’un membre du Conseil de l’EEP. Je ne lui ferai pas le reproche d’avoir devancé le moment fixé par nos instances régulières. Sachons relever tranquillement le défi qui nous est lancé à l’improviste. L’instant-de-voir a fulguré. Le temps-pour-comprendre commence. Il s’agit d’arriver de façon appropriée, et sans trop tarder, à un moment-de-conclure. En ma qualité de Président de l’Ecole Européenne de Psychanalyse, je déclare ouvert le débat de sa Section italienne sur la transformation de celle-ci en Ecole. Chers collègues, si vous le voulez bien, ce débat aura lieu "on-line" jusqu’au 16 décembre. Nous ferons une pause le 17 avant d’arriver le 18 à Milan. Je prie les connectés d’aider les non-connectés à participer. Le temps d’Internet, plus véloce que tout autre, nous permettra d’avancer vers l’Ecole que nous souhaitons, une Ecole dont on ne peut dire a priori qu’elle est la même pour chacun de nous. Avec mes salutations amicales,

Miquel Bassols, Président EEP

Barcelone

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18 NOVEMBRE 1999

TAVOLA ROTONDA A TORINO

par Rosa Elena Manzetti

Venerdì 19 novembre 1999 dalle ore 15.00 alle ore 18.00 si svolgerà a Torino (sala Madrid del Centro Congressi Lingotto) una tavola rotonda sul tema: "Il soggetto e l'etica: psicoanalisti e filosofi a confronto", con la partecipazione degli psicoanalisti Annalisa Davanzo e Pierre Naveau e dei filosofi Claudio Ciancio, Ugo Perone, Pier Aldo Rovatti e Gianni Vattimo. La tavola rotonda è organizzata dall'Antenna di Torino del Campo freudiano, dalla Sede di Torino della Sezione italiana della Scuola Europea di psicoanalisi, con la collaborazione del Centre Culturel Français de Turin, del Centro Studi filosofici Luigi Pareyson e il Goethe-Institut Turin.

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19 nov.

From : Céline Menghi

Cara Rosa Elena Manzetti, peccato ricevere l'avviso di una interessante tavola rotonda con i filosofi e con pierre naveau solo alla sua vigilia! Cordiali saluti Céline Menghi *******************************

21 nov. From : Céline Menghi Cara Manzetti, apprendo ora che la conferenza era stata annunciata sull'ultimo Bollettino.Purtroppo, grazie all'efficienza delle nostre Poste, non l'ho ancora ricevuto. Mi dispiace. Buon lavoro Céline Menghi

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30 NOVEMBRE 1999

LETTRE A ROSY

par Maria Teresa Maiocchi

Cara Rosy,

Mi pare molto importante il seminario organizzato dalla comunità di lavoro di Torino, e spero che sia ben riuscito, tantopiù nella nostra relativa povertà di proposte culturali che promuovano la questione della psicoanalisi e del soggetto nella società civile. Una certa invidia per la capacità di lavoro e di intesa del gruppo torinese -anche nel dare puntuale informazione delle sue iniziative- mi fa riflettere sulla qualità del legame nella nostra Scuola. Di quale supposizione -o desupposizione- etica è fatto? Scrivendo -tempi addietro, per Appunti- di "Un amore di scuola" mettevo in valore il rispetto per l'altro (quello piccolo, detto anche 'simile') come segnale di un certo trattamento in atto del reale del legame. Il "rispetto" -per Lacan- ha a che fare con una certa assunzione della "causa sessuale" come femminile, la famosa mancanza dell'Altro, maiuscolo questa volta, e assolutamente dis-simile. Il legame nella scuola, l'associarsi quando il socius è toccato dal discorso della psicoanalisi, dovrebbe includere questa faccenda della barra, dell'inesistenza dell'Altro e dunque del rispetto per l'altro. Nella nostra attuale situazione e nei suoi sintomi, mi sembra si debbano fare dei passi proprio in questo interrogativo : questa pretesa mancanza dell'Altro occorre infatti ben situarla, poichè mi pare possa essere intesa -e praticata- in due modi differenti, se non opposti. Da un lato l'Altro che non esiste in quanto ha una modalità perforata di presenza, rispetto a cui creare un 'arcipelago del legame' : compito e incidenza 'sociale' di una scuola, luogo specifico in cui dell'Altro si mostra strutturalmente il posto,in quanto vuoto. Tutt'altro modo di trattare l'inesistenza è invece un Altro-che-non-esiste perchè proprio il 'posto' ne è eliso, il che apre su scenari ben diversi: qui si ha allora paradossalmente un eccesso di presenza dell'Altro e dei suoi effetti di gruppo, deserto del legame, dove il simile viene inghiottito e ridotto alla sua stupida esistenza. Questa modalità di legame del gruppo finisce per far esistere l'Altro, proprio quello maiuscolo, senza barra, poichè mette a tacere la differenza, e dunque le mancanze. Se l'Altro non è un posto, discorsivo, non può nemmeno essere svuotato. L'Altro gruppale diventa allora una stanza insonorizzata, che depriva dell'eco di verità di ciascuno, tutto fittizio, pura macchina di transfert dove tutto si può dire perchè siamo tutti e nessuno, bambini generalizzati, bambini di Spitz, in sindrome da ospitalismo per godimento dell'Altro, che certo non esiste, eppure somministra le sue cure : "condannati a stare insieme", diceva qualcuno anni fa : è l'inferno sartriano, dove l'altro da rispettare diventa necessariamente quello da fare fuori. Effetti di gruppo che prevalgono sugli effetti di discorso, ci ha avvertito Lacan. Quale Altro ci sembra di aver imboccato nei modi in cui ci diciamo -anche via internet- "la gioia del nostro lavoro"? Qualcuno di recente identificava la Scuola con un "hopital de jour". Ecco, appunto: ci sono dei rischi nelle psicoterapie, specialmente psicoanalitiche. Qualcosa finisce sempre a far da Altro del godimento, se il suo posto effettivo non lo si può svuotare. Gli dei oscuri sono in agguato. "Hopital de jouir"? Mi pare urgente un lavoro -con alcuni colleghi lo stiamo verificando- su questo tema del posto dell'Altro nella nostra istituzione analitica, e sue conseguenze. Te ne daremo notizia al più presto.

Con amicizia,

Maria Teresa Maiocchi

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ANNEXE

N.B. — La première transmission sur AMP-Corriere de la lettre ci-dessus était précédée d’une note du modérateur, que nous reproduisons dans cet annexe. From: Riccardo Carrabino —30.11.99 - Per un errore tecnico - di cui non sono in grado in questo momento di verificare e identificare la natura - il seguente messaggio di Maria Teresa Maiocchi risulta non distribuito alla lista, nonostante il click di autorizzazione alla distribuzione, click dato da me stesso. Indaghero' - non so bene con quale risultato - su quest'inghippo. Va da se' che vorrei evitare la scelta di cambiare gestore della lista - eGroups.com - per i piccoli disagi che questo comporterebbe per i colleghi iscritti e per il grande lavoro che comporterebbe per me. Mi scuso con Maria Teresa Maiocchi per questo disguido - anche se non dovuto direttamente a me - e la ringrazio per avermi amichevolmente interrogato su un'eventuale *ragione specifica* per la mancata distribuzione. Nessuna ragione specifica, ma solo uno spiacevole inghippo nel cyberspazio. Cordialmente Riccardo Carrabino

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LETTRE A ROSY

par Maria Teresa Maiocchi

Chère Rosy, A mes yeux, l’importance du séminaire organisé par la communauté de travail de Turin est grande, et j’espère qu’il s’est bien déroulé, d’autant que nous sommes relativement pauvres en offres culturelles propres à promouvoir dans la société civile la question de la psychanalyse et du sujet. La manifestation récente d’un certain sentiment d’envie ("invidia" dans le texte) pour la capacité de travail du groupe de Turin, pour la bonne entente qui règne entre ses membres, et aussi pour le fait qu’il donne régulièrement des informations sur ses initiatives, m’a conduite à faire quelques réflexions sur la qualité du lien dans notre Ecole. De quelle supposition — ou désupposition — éthique ce lien est-il fait ? Ecrivant, il y a quelque temps de cela, un article intitulé "Un amour pour l’Ecole" pour "Appunti", je mettais en valeur le respect pour l’autre (le petit autre, autrement dit le "semblable"), et j’y voyais le signe d’un certain traitement en acte du réel du lien. Pour Lacan, "le respect" a quelque chose à voir avec une certaine assomption de la "cause sexuelle" en tant que féminine (le fameux manque de l’Autre, cette fois avec une majuscule), et absolument dis – semblable. Le lien dans l’Ecole, le fait de s’associer quand le "socius" est touché par le discours de la psychanalyse, devrait inclure ce qu’il en est de la barre, de l’inexistence de l’Autre, et donc du respect pour l’autre. Dans notre situation actuelle, avec ses symptômes, il me semble que nous devons précisément nous avancer dans la direction de cette interrogation : nous avons besoin de bien situer ledit manque de l’Autre, car je crois qu’il peut être compris, et mis en pratique, de deux manières différentes, sinon opposées. D’un côté, l’Autre n’existe pas pour autant qu’il a un mode de présence qui est perforé, par rapport à quoi créer un "archipel du lien" : tâche qui incombe à une Ecole, incidence "sociale" de celle-ci, comme lieu spécifique où de l’Autre on montre la place structurale, en tant que vide. Au contraire, il y a une manière tout autre de traiter l’inexistence, quand l’Autre - qui - n’existe - pas, n’existe pas pour autant que sa "place" même est proprement élidée. Cela ouvre sur des scénarios bien différents : il y a dans ce cas, paradoxalement, un excès de présence de l’Autre et de ses effets de groupe, il y a désert du lien, le semblable est avalé, et il est réduit à sa stupide existence. Cette modalité du lien de groupe finit par faire exister l’Autre (l’Autre majuscule précisément) sans la barre, car il fait taire la différence, et donc les manques. Si l’Autre n’est plus une place, une place discursive, il ne peut pas non plus être vidée. L’Autre groupal devient alors une chambre insonorisée qui soustrait à la parole de chacun sa résonnance de vérité, instance toute fictive, pure machine de transfert où tout peut se dire car nous sommes chacun tous et personne à la fois, enfants généralisés, enfants de Spitz, dont le syndrome d’hospitalisme répond à la jouissance de l’Autre, lequel, bien que n’existant pas, délivre tout de même ses prescriptions : "condamnés à vivre ensemble", comme le disait quelqu’un naguère. C’est l’enfer sartrien, où l’autre que l’on doit respecter devient celui qu’il faut éliminer. Effets de groupe l’emportant sur les effets de discours, Lacan nous en avait averti. De quel Autre croyons-nous avoir choisi la voie, quand nous nous communiquons — y compris via Internet — "la joie de notre travail" ? Quelqu’un identifiait récemment l’Ecole à un "hôpital de jour". Voilà, c’est ça : il y a des risques dans les psychothérapies, surtout quand elles sont psychanalytiques. Quelque chose réussit toujours à tenir lieu d’Autre de la jouissance, si sa place effective ne peut être laissée vide. Les dieux obscurs sont aux aguets. "Hôpital de jouir" ? Il me paraît urgent — et avec plusieurs collègues nous le vérifions en ce moment — de travailler sur le thème de la place de l’Autre dans notre institution analytique, et ses conséquences. Nous t’en donnerons des nouvelles au plus vite.

Amicalement,

Maria Teresa Maiocchi

(traduction par Francesca Biagi-Chai et J. A. Miller, non revue par l’auteur)

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2 DÉCEMBRE 1999

RÉPONSE A MARIA TERESA

par Rosa Elena Manzetti

Cara Maria Teresa,

Mi riferisco alla lettera aperta che mi hai indirizzato tramite Amp-Corriere.

Mi ha davvero sorpresa. Il problema che trovo innanzitutto cruciale è questo: nel momento in cui il CN e la SN della SISEP, propongono insieme un appuntamento importante - la Conferenza Istituzionale sul tema della Scuola in Italia del 18 dicembre prossimo - invitando a parteciparvi il Delegato generale dell'AMP, il Presidente dell'EEP e un membro del Consiglio AMP, tu senti la necessità di porre alla nostra comunità la questione del legame sociale nella nostra Scuola in un modo che sembra al di fuori del lavoro e del dibattito che ha indotto le istanze direttive della SISEP a proporre quell'appuntamento. Non trovo infatti alcun riferimento all'appuntamento del 18 dicembre e mi parli invece dell'urgenza di un "lavoro - con alcuni colleghi lo stiamo verificando - su questo tema del posto dell'Altro nella nostra istituzione analitica, e sue conseguenze". Aggiungi che di questo lavoro darai notizia "a me" al più presto. E perché annunci nella lista che ne darai notizia a me? Se è un lavoro inteso a far vivere ed a alimentare l'esistenza della Scuola Italiana di Psicoanalisi di cui il CN e la SN hanno proposto di discutere il 18 dicembre, perché dovresti comunicarlo a me? E non semplicemente darne notizia secondo le vie abituali della Scuola? Una Scuola, la nostra, per la quale io ho lavorato - e d'altronde anche tu e insieme - e continuo a lavorare affinché si realizzi, perché penso che in Italia ce ne sia. Mi inquieta, lo dico francamente, questo modo di porre le cose, un po'"a lato": una strada su cui non mi trovi. C'è poi la questione dell'invidia prodotta dalla qualità del legame nella nostra Scuola, conseguente al modo in cui si situa la mancanza dell'Altro. E dici, che ti sembra "si debbano fare dei passi proprio in questo interrogativo". Su questo punto spero che sia sbagliata la mia impressione che la tua lettera propenda a considerare che la scelta "dell'Altro gruppale" sia quella che riguarda la nostra Scuola strutturalmente. La tua lettera pone altri punti di riflessione su cui vale la pena di soffermarsi e forse anche altri lo vorranno fare.

Con affetto,

Rosa Elena

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3 DÉCEMBRE 1999

LETTRE A MIQUEL BASSOLS

par Antonio Di Ciaccia Cher Président, Merci! Merci d'avoir ouvert un débat de fond sur la transformation de la Sisep en Ecole. Tu as choisi de l’ouvrir en partant d'une lettre dont la teneur m'échappait . A qui et de quoi parlait-elle? Je ne comprenais pas, jusqu’à ton message, et à la réponse de R.E. Manzetti, qui proposent en effet une interprétation assez convaincante. Mais cette lettre qui sert de détonateur au débat, est-elle le débat ? Pas pour moi. Le débat véritable porte sur l’Ecole que nous préparons. Ces dernier temps, on nous serine qu'il faut la confiance dans l'Ecole pour faire l'Ecole. Monsieur de La Palisse ne pouvait pas dire mieux. Mais comme un train peut en cacher un autre, une idée d'Ecole peut en cacher une autre. Peut-être parmi nous, en Italie, n'avons-nous pas la même idée d'Ecole. Le moment est venu de mettre cartes sur table. Par exemple, en préparation de la réunion du 18 octobre, je suis en train de lire l’actuel projet de statuts, publié dans APPUNTI. Ce texte est, à mes yeux, bien plus important que la lettre-détonateur. Or, à le relire avec attention, comme je fais ces temps-ci, ma surprise s'ajoute à mon étonnement, article après article. Là, il y a un travail à faire, utile pour l’Ecole. Avec mes collègues du Secrétariat de Rome nous en donnerons des nouvelles "au plus tôt" sur la liste AMP-Corriere.

Cordialement,

ADC

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3 DÉCEMBRE 1999

L'INESISTENZA E IL NOME

par Marco Focchi

- Ma il tuo padrone si è dissolto nell'aria! - Allora, io sono lo scudiero dell'aria? Credo che la domanda di Gurdulù, nelle pagine che concludono "Il cavaliere inesistente", siano il punto di partenza adatto per dare un avvio leggero a un dibattito impegnativo come quello innescato dalla lettera di Maria Teresa e ufficialmente aperto da Miquel Bassols. Il quesito di fondo è: come creare, nella nostra comunità analitica, un legame solido a partire dall'inesistenza dell'Altro, cioè a partire da qualcosa che apparentemente ha un valore unificante ben più debole dell'ideale comune da cui nascono le patrie e i narcisismi delle piccole differenze. Il rischio che Maria Teresa vede è quello che il vuoto dell'inesistenza sia colmato da un eccesso di presenza, con effetti di appiattimento uniformante. Quel che io temo invece, aiutato da Calvino, un narratore che come pochi sa aprire le piste del pensiero, è che senza cavaliere inesistente diventiamo tutti scudieri dell'aria. Il cavaliere inesistente, beninteso, ha un nome, Agilulfo all'occasione. L'interessante comunque non è quale sia il suo nome, ma che l'abbia. Ne ha uno, non mille e nessuno come Gurdulù, che trascorre la vita beato tra un peto e una capriola senza sapere di esserci. Il cavaliere inesistente, nella nostra langue de bois, ha una sigla, S1, e la terribile denominazione di significante padrone. Nessuno rappresenta se stesso, e quando ci si mette in un'impresa (come noi, che ci siamo presi la pegola di far esistere una Scuola di psicoanalisi in Italia) lo si fa in nome di qualcosa. DI qualcosa, non di qualcuno. La differenza è essenziale, e se la cortocircuitiamo, ecco pronta la figura in carne ed ossa del padrone che salta in piedi con la sferza per farci lavorare asserviti al suo godimento. Così, se il significante padrone viene identificato, fatto coincidere con qualcuno a cui imputare le ingiustizie che a tutti sembra di aver subìto, parte repentino il segnale della rivolta. Credo che l'equivoco sia tutto qui, ma è insidioso, e riguarda la differenza tra far qualcosa per una causa e far invece qualcosa per qualcuno da cui ci si sente usati. In Italia abbiamo per anni conosciuto il disagio generato dal sospetto, dalla sfiducia, dalla destituzione di quanti erano considerati leader solo perché presenti sulla scena pubblica con attività organizzate. Tutto questo panorama si è lentamente modificato, allentato, sciolto, ma non si è sciolto il timore e il sospetto nei confronti di chi prende in mano le cose per farle andare, e che ora si convoglia su una figura di Metaorganizzatore, di Altro di troppo supposto colmare di sé l'Altro che non esiste. E' vero che l'Altro non esiste, ma in qualche modo va organizzato. E' un dannato lavoro, ma qualcuno deve pur farlo. In genere, che qualcuno lo faccia per un po' viene preso bene: se il qualcuno ha successo ci si compiace dei suoi risultati (di cui tutta la comunità si giova); poi, ecco di nuovo il seme inestirpabile del sospetto, della paura che dal lavoro svolto per tutti questo qualcuno tragga un piacere misterioso, che non lo faccia per amore del prossimo, che nasconda per sé una parte, e allora scocca la scintilla della sequenza apocalittica, del rovesciamento, della decapitazione. Penso che questo sia un tema su cui dobbiamo riflettere a fondo, se non vogliamo scivolare nella sindrome da messianesimo frustrato con le sue note ricadute depressive. Se non siamo convinti di essere noi, intimamente, uno per uno, facendo leva sulle nostre risorse, a volere la Scuola, chiunque se ne assumerà la responsabilità cadrà sempre sotto la luce fosca del sospetto e della sfiducia. Ultimamente abbiamo spesso parlato di fiducia nella Scuola: se ci immaginiamo che la Scuola sia Qualcuno, faremo presto a sentirci defraudati, impigliati in un bertuello senza uscita. La fiducia nella Scuola è in realtà la fiducia che noi abbiamo in noi stessi, nella nostra capacità di costruirla nel quadro internazionale che forma ormai da anni la cornice in cui agiamo, con l'aiuto dei nostri colleghi stranieri, giovandoci della loro esperienza, del loro sotegno, della loro critica e, perché no, dei loro errori, per essere parte a tutti gli effetti dell'ormai vasta comunità che si fonda sul pensiero di Freud e di Lacan secondo un orientamento che dà a quest'ultimo un'impronta di chiarezza, di concretezza , di fruibilità clinica, e che ci mette a disposizione una chiave di lettura della psicoanalisi perfettamente commisurata alle esigenze del disagio contemporaneo. Mi auguro che lo scambio d'idee possa procedere tra noi intenso e proficuo, che le nostre posizioni si confrontino facendo uscire l'autenticità della situazione italiana, le sue potenzialità, la sua ricchezza. Sono certo che sapremo scambiarci opinioni e critiche in modo da trafiggere gli argomenti senza ferire le persone, perché chi meglio di noi è nella posizione si sapere che la verità non è solo una spada ma, in mani accorte, anche un benefico bisturi?

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3 DÉCEMBRE 1999

CONTRIBUTION AU DIBATTITO DELLA SCUOLA

par Eric Laurent

Comme ancien président de l'EEP, je me réjouis que Miquel Bassols ait ouvert un débat électronique sur la situation actuelle du *lien social* dans l'EEP-Italia. Ce lien me soucie d'autant plus qu'à Barcelone, en juillet 1998, lors de l'Assemblée générale de l'EEP, l'EEP-Italia faisait *l'invidia* de toute l'EEP, qui admirait la façon dont les mécanismes institutionnels avaient fonctionné en Italie, et dont les malaises apparus en 1997 avaient trouvé une issue dynamique. Le texte initial du débat est une lettre ouverte écrite par un membre éminent de l’Ecole à Milan, Maria-Teresa Maiocchi. Ce texte utilise le registre le plus fort de notre vocabulaire touchant au lien social, qui est le registre éthique : l'invidia, le respect, l'amour, l'effet de groupe, l'enfer. Mais au-delà du vocabulaire, ce texte énonce une thèse très précise concernant les deux régimes de fonctionnement de l'inexistence de l'Autre dans toute institution. 1) Dans la première modalité, rapidement évoquée, l'inexistence de l'Autre fonctionne de la bonne manière. Elle implique de créer un *archipel de liens*. Ce terme, qui fut utilisé par Lacan, est ici choisi sans doute pour faire apparaître la mer, le trou, entre les isolats de sens. 2) L'autre régime de fonctionnement est plus longuement décrit. Dans ce dernier, l'inexistence de l'Autre se traduirait par l'absence d'un lieu de discours où articuler des différences. Il n'y a plus que la présence. Présence qui encombre. Présence d'un Autre unifiant qui n'a aucun semblable. Dès lors, le lien au semblable ne respecte aucune différence. Chacun se réduit à sa *stupide existence*. La différence est *avalée*. A partir de ces prémisses, le texte entend éclairer *les symptômes de la situation actuelle*. Le diagnostic tombe rapidement : l'Ecole en Italie s’inscrit toute entière dans le second registre. C’est un *Hopital de jouir* où des membres infantilisés sont les purs objets des soins anonymes de l'Autre. Ils sont condamnés à exister frappés d'hospitalisme. C’est un enfer spitzien. Le groupe de travail annoncé in-fine semble avoir déjà conclu. Il ne manque que la description du bon archipel. M’est-il possible de reconnaître dans cette description si sombre l'Ecole que j'ai connue en tant que Président ? L'Ecole que j'ai retrouvée à Bologne, lors de son dernier Congrès de 1999 ? A Bologne, j'ai vu tout au contraire une Ecole vivante, dont les travaux étaient suivis par une assistance nombreuse, attentive, et rajeunie, et dont les membres ont su trouver un langage contemporain pour s'adresser à ce public renouvelé. Les dispositions prises sous ma présidence pour favoriser une meilleure insertion dans la réalité italienne commençaient visiblement à porter leurs fruits : les membres de l'Ecole se font entendre dans des lieux très divers, selon des modalités très variées, et leurs opinions comptent. Faisons une première liste non-exhaustive de ces lieux et ses modalités pour en souligner les différences. A l'Université, dans le département de psychologie de la faculté catholique de Milan ; après l'Université, dans l'Institut de formation et de recherche (l'Istituto) qui distribue un enseignement conduisant à un diplôme d'Etat, avec son siège et ses antennes ; dans de nombreuses institutions à travers toute l'Italie consacrées aux soins à l'enfance où s'adressant à des pathologies symptomatiques précises ; dans de prestigieux services publics. Dans tous ces lieux, des membres de l’Ecole enseignent, travaillent, supervisent, contrôlent, se font entendre. En témoigne aussi la récente table ronde de Turin avec des philosophes qui ont, au fil des ans, dialogué avec les textes de Lacan comme avec les membres de l'Ecole. Les textes présentés aux Journées de Bologne, publiés dans *Ornicar? digital* ont suscité de l'intérêt dans toute l'AMP. Des projets sont en route. Je constate donc simplement que l'Ecole que j'ai vue à Bologne n'a jamais été aussi vivante, autant en prise sur l'effectivité. Elle n'a l'air condamnée à rien, sinon au succès. Est-ce là l'Ecole mangée, dévorée, avalée par on ne sait quel ogre, que décrit le texte initial ? Je ne le pense pas. Je crois au contraire que c’est précisément le succès même de notre Ecole qui amène chacun à se demander non sans anxiété si sa part y est reconnue à sa juste mesure. La présence du semblable plus ou moins semblable encombre d'autant plus qu'il y a quelque chose qui est *à avaler*. C'est parce que la non-uniformité est effective dans l’Ecole que surgissent de nouvelles tensions entre *effet de groupe et effet de discours*. Il y a sûrement dans une Ecole des groupes, et non pas seulement des groupes de travail. La question est de savoir comment articuler entre eux ces groupes qui font la réalité de l'EEP-Italia, et qui sont les produits d'une histoire longue, riche et qui se poursuit, et comment rendre possible le régime du un-par-un engagé dans une conversation générale. La communication entre îles et presque-îles dans un archipel ne me paraît pas la meilleure représentation de l’Ecole. L’archipel (*Archipel du Goulag* est un titre qui reste dans les mémoires) me paraît trop menacé par le repli identitaire, comme le montrent les problèmes que posent les îles en Méditerrannée et plus largement dans la Communauté européenne. J'attends beaucoup du débat pour compléter mon information, infléchir ma perspective, m'assurer d'une communauté d'intention et de choix. Je ne regrette qu'une chose : ne pas pouvoir être avec vous le 18 décembre à Milan.

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4 DÉCEMBRE 1999

DALLA SFIDUCIA AI CONTENUTI

par Maurizio Mazzotti Vorrei qui di seguito dire alcune cose, intervenendo nel dibattito "on line" della Scuola, aperto il 2 dicembre scorso, con grande tempestivita', dal Presidente EEP. Quando assunsi l'incarico di Presidente Sisep, piu' di due anni e mezzo fa a Napoli, nell'assemblea di allora aleggiava gia' l'aria della crisi e della sfiducia. Era gia' in questione il legame all'interno della comunita' di lavoro. I motivi della sfiducia sembravano gia' allora avere il sopravvento, mentre contemporaneamente la prospettiva della scuola italiana iniziava a farsi piu' presente, non fosse che per la data del 2000 a cui ci aveva impegnato il DG dell'AMP. L'aria della sfiducia non ha mai smesso di aleggiare e, come posso notare da cio' che ha dato avvio a questo dibattito, continua ancora ad aleggiare, e credo, continuera' quasi all'infinito se si considera il legame nelle forme della sua degradazione immaginaria, molteplici e poco simpatiche nella maggioranza dei casi, tipiche, sarei tentato di dire, del registro dei rapporti tra persone. Prendendolo per questo verso possiamo stilare l'elenco di queste forme di degradazione: polemiche, conflitti, ritorsioni, politiche interessate a favore dell'uno e contro l'altro, invidie appunto, desupposizione di sapere, in alcuni casi addirittura squalifica professionale. In questa lista tutti si potrebbero riconoscere, chi piu' chi meno, tutti potrebbero portare la propria esperienza dell'una o dell'atra cosa. Se ci riferissimo a questo legame, ci sarebbe il lamento perpetuo di tutti. E contemporaneamente tutti potrebbero misurare la distanza che intercorre tra questo legame degradato e il legame come dovrebbe essere tra colleghi, membri e militanti di una stessa causa, quella analitica. Le parole per nominarlo questo legame come dovrebbe essere infatti le conosciamo, poche e semplici, e sono gia' state dette tante volte e tutti le abbiamo ascoltate o lette tante volte: un grado non ideale ma accettabile di fiducia reciproca, un senso legittimo di coappartenenza, un gusto condiviso per la conversazione autentica, se possibile, il credere all'esperienza della scuola come ci viene testimoniato dalla comunita' internazionale di cui facciamo parte. Un insieme di tratti che declinano quello che abbiamo cosi' tanto nominato parlando di "affectio societatis", quella che tutti mettono avanti a tutto. Personalmente penso che concentrare o affidare il dibattito che ci attende al misurare la distanza che separa un deficit di "affectio societatis" dal legame come dovrebbe essere sia oramai un esercizio in impasse e improduttivo. Da questo punto di vista concordo con Antonio Di Ciaccia quando dice che, per lui, questo aspetto non rappresenta il punto del dibattito oggi sulla scuola futura. Non credo possa piu' essere affidato a questo punto lo stato di una diagnosi della situazione attuale della Sisep e parlo qui per la mia esperienza maturata ricoprendo per due anni la funzione di Presidente Sisep. Occupato per due anni a "organizzare " (dice Marco Focchi, ricordando che occorre pur farlo per non limitarsi a girare attorno alle lamentele sull'inesistenza dell'Altro) lo spazio comune, nazionale della Sisep, cercando di raggiungere obiettivi concreti che dessero impulso al transfert di lavoro, ho in piu' di un occasione preso atto che la crisi di sfiducia che aleggiava a Napoli era un modo per impedirsi di vedere come e quanto evolveva ed e' evoluta la Sisep negli ultimi anni, i risultati che ha raggiunto al proprio interno e anche l'ampliamento considerevole dei suoi collegamenti con il sociale. Eric Laurent, nel suo intervento, ha ricordato proprio questo aspetto, citando alcuni punti e alcune occasioni che testimoniano della crescita qualitativa e quantitativa raggiunta dalla Sisep, a cui evidentemente le forme degradate del legame non sembrano aver nociuto piu' di tanto. Altri aspetti potrebbero essere aggiunti a quelli segnalati da Laurent, per esempio la messa in esercizio della passe, e, dopo Bologna, la conversazione di Roma, che ha testimoniato di tante cose interessanti e utili, ma ben poco dell'aria di sfiducia che minerebbe la scuola. Resuscitarla ora, quest'aria di sfiducia, mi parrebbe dell'ordine del deja' vu, e comunque regressivo come passo. Quel che ci serve invece, a mio parere, e' dibattere il come organizzare sia teoricamente che politicamente lo spazio della futura scuola, prendendo l'iniziativa in questa direzione, come hanno fatto molto bene il CN e la SN congiuntamente, come dimostra gia' molto semplicemente la lista dei punti messi all'ordine del giorno della giornata del 18 dicembre. Una lista che individua dei nuclei concreti, fondamentali simbolicamente, attorno ai quali deve poter uscire una idea di scuola. Contenuti su cui concentrarsi, come del resto sugli statuti, che ne riflettono alcuni di questi e ne propongono di altri, soprattutto sul piano dei principi associativi, cui dovrebbero essere particolarmente interessati coloro che prestano molto ascolto alla sfiducia, o peggio che la praticano.

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5 DÉCEMBRE 1999

LA NOSTRA SCUOLA E QUELLA DELL'ALTRO

par Carlo Vigano

Miquel Bassols ha dichiarato aperto il dibattito on-line. Nonostante i limiti di questa pratica che le recenti esperienze hanno evidenziato, mi sento invitato a parteciparvi. Negli interventi on-line, si mette in gioco un reale che resta fortemente caratterizzato dalla contingenza, con il rischio che venga interpretato come un sintomo. Non resta che apprendere dall'esperienza della passe a usare bene la logica della testimonianza. Dunque non voglio passar sopra alle circostanze che hanno dato inizio al dibattito. Gia il moderatore della lista, Riccardo Carrabino, richiama l'attenzione sulla *circostanza fortunata* che raggruppa i primi messaggi, poi Maiocchi inizia il suo messaggio da *una certa invidia*, infine c'e' la sorpresa di Manzetti che si vede interpellata personalmente a partire da un lavoro comune. Io provo a mettere in valore la contingenza da cui sorge questo nostro dibattito, perche' anche in Italia bisogna cominciare ad uscire dall'inibizione di fronte al tempo elettronico e al tipo di reale che esso muove. Vengo alla questione principale del posto che ha l'Altro (maiuscolo) nella nostra scuola. La mia pluriennale esperienza mi fa inorridire tutte le volte che esso viene individuato come una sorta di Grande fratello, di punto d'identificazione di massa, insomma come il frutto di un Altro eliso. E' cosi' radicata in me l'idea che ciascuno sia responsabile del posto che per lui occupa l'Altro, che non posso accettare una diagnosi istituzionale sullo stato dell'Altro, qualunque ne sia la ratio nosografica. Tanto piu che la mia lettura della situazione italiana e' che vi sia, come non mai, rotazione e passaggio di discorso nelle persone e nelle cose che fanno quando si impegnano ad organizzare il lavoro della scuola. Ricordo che nel 97 parlai di un disagio nella scuola, proprio legandolo ad una certa fissita burocratica di alcune funzioni. Non mi sembra il caso oggi. Tant'e' vero che, pur non ricoprendo oggi alcun incarico istituzionale, la scuola costituisce nel mio lavoro quotidiano lo strumento politico e culturale principale per barrare l'Altro sociale. E' utilizzando il riferimento e la prassi della scuola che possiamo far avvenire dei passaggi di discorso in luoghi altrimenti fissatii sul potere e sull'identificazione (penso all'enorme novita della discussione di casi nel Policlinico di Milano, a come fa scuola l'esperienza con il SERT di Macerata e il metodo del cartello in alcune realta' di salute mentale, di coperativa sociale o di volontariato). Commentando l'espressione *transfert di lavoro* impiegata una volta da Lacan nell'Atto di fondazione, sottolineavo come vi prevalesse il senso di genitivo oggettivo da dare al termine lavoro, come oggetto rinnovato dall'insegnamento nel posto in alto a destra del discorso universitario. Ebbene in Italia gli esempi si stanno moltiplicando. Che questo non coincida con l'incentivarsi, in uno stile che rischia sempre di rasentare l'integralismo, l'affetto tra i membri di una societa', non e' per me negativo. La scuola non e una societa (di psicoanalisi), e l'innovazione lacaniana. Da piu' di 20 anni il crirerio che mi ha sempre guidato fu sempre quello di non accettare mai la tendenza, umana troppo umana, di fortificare la propria isola di fronte ad un Altro che appariva perverso, pieno di un godimento di cui, sadicamente, non ci riconosceva il merito. Ho perso cosi' molti amici e non me ne pento, dato che, ogni volta, a quel punto la loro ricerca si e' arrestata per dedicarsi al transfert negativo. Ho condivisa l'idea di usare l'espressione *scuola una* e fu solo per dire in un altro modo che mi interessa che vi sia una scuola, luogo di confronto che fa procedere una ricerca. Ne ho avuta recentemente una conferma nell'eccellente giornata di Pesaro sul gruppo nell'esperienza della psicoanalisi. Detto questo che fare allora dei localismi, di stile di lavoro, piu' che geografici? Che fare perche' l'entusiasmo per l'apprendimento di un sapere nuovo ed affascinante arrivi a mettere in gioco la causa del desiderio dei giovani neofiti? Che fare perche' l'attuale *querela delle diagnosi* trovi la sua sede in un luogo di garanzia della clinica praticata dalla scuola? E che dire oggi della formazione dell'analista, quando i luoghi del suo lavoro prendono le distanze da un qualunque assetto o ordine professionale? Di questi e di altri temi vorrei poter dibattere, tra noi a partire dal 18 dicembre, e in pubblico perche' si sappia che della fine dell'interpretazione (o dell'intrattenimento, come si esprime Saraceno) noi non siamo gli sconsolati osservatori, bensi' gli attivi protagonisti. La fiducia nella scuola non e' una fede, e solo l'idea che a partire dalloa scuola questi temi drammatici dell'epoca che viviamo possano trovare ascolto ed elaborazione, certo non unanime, spesso senza che una citazione venga a riconoscere la data e l'occasione in cui io avevo gia' affacciato una certa questione. Nella mia lunga storia poi non ho ricevuto solo l'affronto della censura, ho ricevute ed osservate mancanze di rispetto piu' particolari, a volte offensive, ed ho imparato a non farne una questione di potere (attivo o passivo), ma, come dice Maiocchi citando Lacan, a reagire *en femme* e ad personam. Invito i *colleghi* a fare lo stesso, anche le piccole conversazioni fanno scuola.