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ÉCOLE EUPOPÉENNE DE PSYCHANALYSE

IL DIBATTITO DELLA SCUOLA-2

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6 DÉCEMBRE 1999

LIRE SPITZ 

par Carole Dewambrechies-La Sagna

J'ai lu avec surprise le texte de Maria Teresa Maiocchi. Elle appelle de
ses voux le maintien d'une place vide qui soit vraiment vide; elle pense
que cela est necessaire au bon fonctionnement de l'institution
analytique. Son presupposé me semble etre celui-ci: nous vivons dans le
meilleur des mondes possibles - meme imparfait - et, finalement, une
place centrale vide garantit que la pente naturelle des groupes humains
a' aller dans le bon sens sera respectee.

Pour ma part, je ne crois pas qu'il y ait une pente naturelle à ce que
les choses aillent dans le bon sens. Le realisme analytique ne corrobore
pas cette these, l'histoire du mouvement analytique non plus. Freud a
dû se battre sans cesse pour que son invention de la psychanalyse
s'impose, et Lacan a connu quelque chose de semblable pour que le
tranchant de verite' que la theorie analytique recele soit preserve'. Il
est vrai que le discours universel de cette fin de siecle, de cette fin
de millenaire, plaide plutot pour le non-interventionnisme, le
laisser-faire. Lacan nous a habitue' a' y voir une ruse de
l'indifference, une fermeture a' l'Autre. D'ailleurs, du meme mouvement,
les hopitaux ferment des lits, et les exclus du discours se retrouvent
dehors sans soins. Une Ecole peut exister si chacun veut la servir. De
cette existence, chacun retirera un plus, mais ce plus sera obtenu de
surcroit, sans l'avoir voulu ni cherche'. Il s'impose de relire Spitz,
sans doute. Qu'est-ce qui fait qu'un enfant developpe un syndrome
d'hospitalisme ? C'est qu'il passe de longues periodes face à un vide.
C'est l'anonymat des soins qui le rend malade, l'anonymat qui est
l'absence de rencontre avec la singularite' d'un desir.

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6 DÉCEMBRE 1999

IL DIBATTITO DELLA SCUOLA *** SIAMO CAUTI?

par Celine Menghi

"Non mi intendo di inconscio e di profondo, ma so che pochi se ne
intendono, e che questi pochi sono più cauti;...". Rileggevo queste
righe di Primo Levi e mi sono sorpresa per esserne stata così colpita.
Qualcosa aveva a che fare con altre parole che a fiumi scorrono in
queste ore e giorni sulla futura Scuola Italiana. Perché vogliamo una
Scuola Italiana? La vogliamo perché un desiderio ci muove, altrimenti si
aggiungerebbe non senso al già noto non senso dell'esistenza. Questo
desiderio è desiderio di sapere e di trasmettere un sapere. Dovremmo
quindi intenderci di qualche cosa per arrogarci un sapere e poterlo
trasmettere. Ma di che cosa ci intendiamo noi? Ci intendiamo di ciò che
ha attraversato la nostra pelle e la nostra carne, di quella scoperta
che facciamo o abbiamo fatto, o addirittura rifatto, nelle nostre
analisi. Ci intendiamo di ciò che ha scoperto Freud, di ciò che Lacan ha
cercato di mantenere aperto, quando tutto concorreva alla sua chiusura:
l'inconscio. Noi ci intendiamo dell'inconscio. Sembra poco, ma oggi è
anche raro. Questo è il nostro sapere, questa è la nostra specialità. Ma
allora si è più cauti quando ci si intende dell'inconscio? Penso che
possa essere così, che vi sia una certa cautela al di là del fantasma,
una cautela che ci viene dall'etica, e un'umiltà dall'aver toccato quel
reale della pulsione che ci concerne in quanto soggetti, uno per uno. 

Buon lavoro a tutti e a presto. 
Céline Menghi

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7 DÉCEMBRE 1999

LETTRE A ROSA-ELENA

par Michelle Daubresse

Cara Rosa Elena,

scrivi nel mail che hai inviato sulla lista:

" (...) Il problema che trovo innanzitutto cruciale è questo: nel
momento in cui il CN e la SN della SISEP, propongono insieme un
appuntamento importante - la Conferenza Istituzionale sul tema della
Scuola in Italia del 18 dicembre prossimo - invitando a parteciparvi il
Delegato generale dell'AMP, il Presidente dell'EEP e un membro del
Consiglio AMP, tu senti la necessità di porre alla nostra comunità la
questione del legame sociale nella nostra Scuola in un modo che sembra
al di fuori del lavoro e del dibattito che ha indotto le istanze
direttive della SISEP a proporre quell'appuntamento".

Effettivamente era molto opportuno ricordare che era proprio per
rispondere a un invito che il Delegato generale dell'AMP, il Presidente
EEP e un Membro del Consiglio AMP si riuniranno con noi a Milano il 18
dicembre. Vorrei solo aggiungere una precisazione: questa volta, è vero,
vengono come invitati. Ed è stata, effettivamente, un'ottima idea. Ma,
in modo più generale, non sono semplicemente degli invitati. Gli
invitati, come si sa, si possono invitare o non invitare, e ascoltare o
non ascoltare. Se fosse così, allora la legittimità etica e
l'orientamento della Scuola sarebbero - di fatto e di diritto - nelle
sole mani del CN e della SN della Sisep. Sarai sicuramente d'accordo con
me per dire che non è affatto così. Mi domando veramente a chi potrebbe
interessare una Scuola che fosse pensata in questo modo. Noi facciamo
parte della Scuola proprio a causa del legame con l'AMP e le sue
istanze. Almeno per quanto riguarda la Scuola che io desidero. Per
questo mi sono permessa di fare questa precisazione, cosa a cui tengo
molto.

Cordialmente,
Michelle Daubresse

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7 DÉCEMBRE 1999

LES MOTS SOUS LES MOTS 

par Anne Dunand

Mi ricordo che Jacques-Alain Miller notava, nel suo seminario sulle
psicosi, che dove l'Altro simbolico e assente, l'Altro immaginario si fa
tanto piu poderosamente presente. 

Lo dico oggi dopo la lettura dei messaggi sulla Scuola, non per
accennare alla paranoia, ma perche mi sembra che la creazione della
Scuola deve parare a questo poderoso peso dell'Altro immaginario con la
struttura dell'Altro simbolico che vogliamo darci, dove vogliamo
iscrivere il nostro lavoro. Si fara, con i statuti, che saranno
modificati come si deve, a partire del dibattito che abbiamo scelto di
fare, insieme. 

Mi riccordo che tempo fa' J.-A.Miller aveva detto che bastava cambiare
Gisep in Scuola, che per il resto andava bene. Ma da allora, il tempo e
passato. Egli stesso oggi non farebbe la stessa proposta. Infatti, da
mesi - io so che e' dal mese di giugno, ma puo darsi che sbagli- si e
richiesto a tutti di mandare critiche e proposte. Non sono giunte, e
dunque si fara il 18 le correzioni necessarie. Forse e anche meglio
procedere cosi. Questo e un punto che mi pare importante. All'ODG ci
sono altri punti. Mi pare che tutto si faccia con la massima chiarezza
ed impegno. 

C'e pero qualcosa che nella mia opacita di cittadina originaria di una
piccola citta' non riesco ad afferrare, qualcosa nei messaggi mandati
che mi pare di leggere sotto le parole, una sorta di collera? Mi si
schiarisca il perche', visto che da tutto quello che ho potuto
racogliere presso le singole persone, c'era una volonta di costruire la
Scuola, il desiderio di farlo insieme. E nell'interesse di ciascuno di
noi di costruire la Scuola, e nell'interesse delle generazioni a
venire.La Scuola deve costituire un potente appello a quelli che oggi
cercano una risposta sul perche e il per come della psicanalisi nel
secolo a venire

Confesso che visto la mia veneranda eta, ho una certa fretta di vedere
il giorno quando si potra indirizzare alla Scuola le persone che cercano
ad esempio il luogo dove fare la passe. Per dire solo questo. Non vi
pare che dobbiamo tirare sulla stessa corda? Con entusiasmo e senza
inutile ira? Visto che ognuno ha saputo tirare fuori magnifiche
citazioni, faro la mia: ci sono molte dimore nella casa di mio padre.
C'e' posto per ciascuno s'intende qui, ciascuno nella misura delle sue
luci.

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7 DÉCEMBRE 1999

IL DIBATTITO DELLA SCUOLA
UNA TESTIMONIANZA

par Chiara Mangiarotti

La modalità assolutamente antiburocratica con cui il Presidente dell'EEP
ha saputo cogliere un'occasione contingente per aprire il dibattito
sulla Scuola e due tra i contributi che vi hanno fatto fin'ora seguito
mi hanno sollecitato ad intervenire.

Il primo è il testo di E. Laurent. Esso offre un quadro dell'attuale
situazione della Scuola in Italia al quale vorrei dare conferma
attraverso una testimonianza. In psicoanalisi può capitare di imbattersi
in un cattivo incontro. A me è capitato. La scommessa è stata, allora,
di poter rimanere a lavorare attivamente nella Scuola nonostante questo.
Per farlo ho dovuto spostarmi, non solo metaforicamente, non perché
altrove ci fossero amici pronti ad accogliermi, ma, al contrario, per
poter creare un transfert di lavoro con colleghi che, per questo motivo,
sono, me lo auguro, anche amici.

Vorrei elencare tre luoghi dove questo si è verificato, in un caso, e
dove ancora si verifica, per gli altri due:
- La Segreteria Nazionale della quale ho fatto parte durante la
presidenza di M. Mazzotti e dove, tra le altre, vorrei ricordare
l'esperienza di una preparazione ricca di entusiasmo al Convegno di
Bologna.
- L'Istituto Freudiano presso la cui la sede di Roma tengo un corso
introduttivo e dove partecipo ad un'attività di ricerca e formazione
permanente in un clima di "gaia scienza".
- La Sezione Clinica di Padova dove la proficua collaborazione con i
colleghi porterà quanto prima alla riapertura della Sede della Sisep
fin'ora bloccata.

Sono convinta che, se questo è stato possibile, è proprio perché la
Scuola non è un , ma un luogo in cui la particolarità
del desiderio di ognuno che vi si voglia iscrivere può trovare il suo
posto.Quanto all' credo che occorra sventarne le insidie
là dove si possono annidare, per esempio negli statuti della Scuola. In
questo senso - e qui vengo al secondo dei testi che hanno sollecitato il
mio intervento - come afferma A. Di Ciaccia,una lettura attenta degli
statuti e un lavoro  su di essi possono essere di grande utilità per la
Scuola. Su questo punto, con i colleghi di Padova, intendiamo dare un
contributo di cui vi faremo partecipi sulla lista amp-corriere.

Chiara Mangiarotti

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7 DECEMBRE 1999

DIBATTITO DELLA SCUOLA **UNA**

par Silvano Posillipo

Cari amici,

mi aggiungo al dibattito per far presente che, se lo psicoanalista non è
tenuto necessariamente a tener conto del lamento, questo è pur sempre un
modo per manifestare, nel pudore, un desiderio.

Si questiona di sfiducia (vecchio motivo fischiettato ogni volta ci sia
un appuntamento collegiale): gia a Napoli dissi che trovavo
intollerabile che ci si avvalesse di questo pregiudizio, totalmente
fuori da ogni etica e imperiosamente fantasmatico. Si dimentica che la
fede (presupposto della fiducia), come il desiderio dell'analista, non
si trasmette, non lo si forma, non con la volontà, nemmeno per
consuetudine o per ideologia, piuttosto come modo del fantasma. Questa
metafisica dell'investimento e dell'identificazione va rifiutata e
combattuta. La fede che si chiede all'analizzante è verso l'inconscio e
per il suo sembiante, il supposto sapere nel farsi causa del lavoro
analitico, mentre potrà amare l'analista, la teoria e la pratica che lo
determina. Giungere ad individuare i due versanti si ottiene al termine
dell'analisi, ma gli effetti sono presenti nella domanda, anche quella
che giunge dalla patologia della vita quotidiana ed è a questo livello
di impasto che spesso si avvicina alla Scuola chi è interessato al
nostro impegno.

La Scuola è dell'analizzante, quale suo punto di reale (JAM, sem. cause
e consentement, le reel dans..), non degli analisti se non per ciò che
concerne il mantenersi come analizzanti. Siamo per la Scuola Una e non
per fare degli uni una sommatoria a costruire l'Altro, nemmeno per la
confraternita per la distribuzione del godimento (dovremmo inventarci un
cerimoniale che valga la messa?). Per questo e per altri "dettagli" non
siamo dell'IPA. Ma, concedetemi un po di ironia, nemmeno per una scuola
risorgimentale che sancisca l'unità d'Italia dei lacaniani.

Concordo con Laurent e Viganò sulla valutazione del lavoro dei membri,
che in alcuni casi mi suscitano grandissima ammirazione, ma sono meno
ottimista sul futuro, considerando la massa di manovra impressionante
formata da migliaia di psicoterapeuti, collane editoriali tanto
aggressive quanto stordite, una legge che mette praticamente all'indice
la psicoanalisi, sessantuno scuole di psicoterapia, l'Università che
sforna il modello più adatto all'ignoranza;  Lacan, quando va bene, è
intrappolato nella filosofia estetica, Einaudi che stampa un professore
di Strasburgo che fa di Lacan un maestro assoluto e tiene da due anni
nel cassetto il XVII seminario, e molte altre cose.

Certo non siamo circondati, non ho la sindrome Fort Apache, perchè non
siamo certo noi il bocconcino prelibato, a finire "au gratin" è Freud
(...cucina monotona, lo stesso arrosto da settant'anni).

Capite allora che anche un piccolo intoppo diventa inquietante,
soprattutto perchè ci impedisce di mettere in gioco una strategia
efficace. Strategia che langue, non si riesce a seguirne le tracce, del
resto sembra alle volte che si faccia tutto il possibile perchè le si
perda. Le istanze della Scuola sono state troppo caute, fin timorose,
anche interpellate pubblicamente non hanno fornito risposte adeguate.

Alle volte, e mi dispiace moltissimo dirlo, abbiamo raggiunto livelli di
raffazzonamento organizzativo da disperazione, da far rimpiangere la
bocciofila di Spotorno (ridente paesino in Liguria).
Far rimanere senza strategia e programmi è un modo conosciuto per non
rispondere, per fare che sia sempre l'Altro quello della responsabilità,
è il paradosso della Scuola Italiana il gioco a rimpiattino con
l'estero, affinchè rimanga tale, cioè familiare e angosciante, il grande
fratello a cui accennava Viganò.

Impressionante che il dibattito sulla Scuola debba essere aperto da
Bassols, forse solo con Bassols diventa un dibattito, è una questione da
discutere. Sarebbe positivo che il presidente dell'EEP sia intervenuto
come emblema della Scuola Una, ma temo invece che sia stato necessario
il suo intervento per rovinare quel provincialismo che ci appartiene e
ci veste come un sudario.

Non vorrei essere irriverente, ma alla Scuola ci tengo più che alla mia
immagine. Poi le sezioni cliniche e la passe ci hanno dato ossigeno e
speranze.  Sulla passe solo due parole: sono profondamente grato alla
Scuola di Lacan e a tutti coloro che mi hanno concesso l'occasione di
questa esperienza. E' stato anche un modo per rimediare a quel passo
mancato, all'inciampo edipico che anni orsono ha prodotto per me una
curiosa nostalgia di qualcosa di mai avvenuto: io come altri non abbiamo
conosciuto Lacan se non attraverso i suoi scritti e le testimonianze di
altri, con la "sua" esperienza ho potuto ritrovarmi lungo il filo di una
storia che da familiare si è riformulata nel romanzo storico e nelle
pieghe della clinica.  Insisto nell'idea (e Viganò mi sembra che ne
confermi la giustezza) che la passe possa avere altre applicazioni oltre
all'entrata nella EEP e per la nomina.

Cercherò di dare il mio contributo con delle proposte fattive su come
meglio far funzionare la nostra Scuola. 

Un cordiale saluto a tutti
Silvano Posillipo

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7 DÉCEMBRE 1999

VIZI PRIVATI, PUBBLICHE VIRTU

par Annalisa Davanzo

"Sì, come ciascuno sa,  acqua e meditazione sono sposate per sempre"
(C.Pavese:Melville,"Moby Dick")

Tutti sanno che Venezia è  fatta di isolette, ma non so quanti la
definirebbero un arcipelago. A me lo ha indicato Massimo Cacciari,
(Geofilosofia dell'Europa) che estende la metafora al sistema delle
polis, in opposizione all'oceano di terra che invade l'Asia (ma anche
gli Stati Uniti). L'arcipelago delle comunità e dei singoli individui è
quasi un topos dei filosofi contemporanei, quelli che hanno letto Lacan
e ne hanno mutuato la scrittura dell'Altro maiuscolo e dell'altro
minuscolo per rispettare la differenza dell'Alien e dell'alter.

Gadamer ricorda che le lingue classiche dicevano non "l'uno e l'altro"
ma "l'altro e l'altro", e qui lascio andare i filosofi (sull'incontro
coi quali tornerò) per rifarmi al mio, banale, immaginario acquoreo di
soggetti-in-isola che scelgono, ogni volta, di"passare l'acqua".

Non sono sempre visite di cortesia, come sottolineano non solo Maiocchi
ma anche Mazzotti e Viganò. E' vero, ciascuno di noi ha qualche livido e
sicuramente lo ha anche procurato a sua volta, e ciascuno di noi lo
prende come deriva strutturale di una Scuola che, per come Lacan l'ha
pensata, non si confonde con un'associazione in cui ciascuno si fa gli
affari suoi, ma questo si paga con un prezzo alto.

Lacan l'ha detto per tutti e l'esperienza analitica ha insegnato ad
ognuno che "lo statuto dell'inconscio è  etico, e non ontico". Mi
permetterei di parafrasarlo dicendo che anche lo statuto dell'Altro è
etico, NON "c'è perchè c'è", MA "c'è quando c'è", quando il desiderio
del soggetto lo fa essere, mai granitico, sempre pulsante. Come dicevo a
Torino, solo il grido sulla croce ( Eli, Eli ecc...) salva dalla
debilità il cristianesimo, nella misura in cui il senso del calvario
scivola dalla manona di Dio e resta sospeso al desiderio del Cristo: non
passione ma atto.

Perchè, ciò che ci aspetta sempre, che non manca mai, ciò che ha una
funzione ontologica (Lacan) è la beanza, il tratto mancante, e noi
tutti, con Lacan, ci dedichiamo "ad una teoria che include una mancanza
che si deve ritrovare a tutti i livelli." Questo  il compito etico del
desiderio dell'analista.
Ma chi di noi pensasse di essere nel discorso dell'analista 24 ore su
24, meriterebbe di essere seppellito dalla famosa risata.

Se non ci si sostiene su un solo discorso, avverte Lacan, bisogna sapere
bene quello che si fa. E' il rischio di debilità da cui Lacan stesso non
si riteneva esente. Per questo stiamo in una Scuola, e la vogliamo, per
tenere alta la guardia. Per questo ringrazio Maiocchi.

C'è infatti un salto di qualità tra i lividi del pianerottolo e quelli
in lista AMP. Già anni fa , Viganò lo ricorda citando la primavera '97,
si era denunciato quell'effetto di deriva che, sulla garanzia
immaginaria di un Altro consistente, colpisce necessariamente l'altro
col discredito e la cancellazione.

Ed esattamente questi due tratti sono nel messaggio di Menghi:
cancellazione di me  (c'ero anch'io nel programma di Torino !!) e
discredito di Manzetti. In LISTA. Poi la rettifica naviga sulla rotta
privata.

La tecnologia, ce lo ha detto Jacques-Alain Miller, è la voce che grida
più forte "L'Altro è morto,  W  l'Altro". Apprezzo la prudenza con cui
Viganò si serve del mezzo. Non apprezzo la censura, neanche quella
imposta dalla "giustizia" e sono contenta che in Italia non ci siano
leggi restrittive.  (Quando accade, i server sono disabilitati
direttamente dall'irruzione poliziesca: è successo, nel nome di satana e
dei suoi bambini.)

Noi saremo più bravi, e conteremo fino a 10 prima di passare in rete le
nostre fragilità. Oppure ci prenderemo le giuste proteste che ci
risparmiamo a schermo oscurato. In chiaro, siamo tenuti al semblant, che
pur essendo artificioso, proprio perchè è  artificioso, non solo non è
una finzione, ma è  la sola verità che possiamo DECENTEMENTE offrire
agli altri.

Voglio dire che c'è anche un'altra Menghi, di pubblica virtù, per la
quale ho stima ed affetto, ma è  solo per via di Lacan che me le tengo
tutte e due, perchè in questi anni abbiamo fatto un lavoro, insieme e
distinte, che è la sola ragione per la quale vorrei che fossimo in una
Scuola, la STESSA Scuola: l'abbiamo già costruita nei fatti di una
militanza quotidiana.

Annalisa Davanzo

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7 DÉCEMBRE 1999

PARIGI-MILANO

Jacques-Alain Miller fait savoir qu'il partira de Paris tôt le matin, le
samedi 18 décembre, pour être à l'ouverture de la Conférence
institutionnelle de Milan, répondant ainsi à l'invitation que lui ont
adressée le Conseil national et le Secrétariat national de la SISEP.

Il communique également qu'il participera le dimanche 19 décembre à une
partie des activités d'enseignement qui ont été prévues avec la présence
de Pierre Naveau.

Enfin, il divulgue qu'il restera le lundi 20 décembre dans la ville de
Milan, et ce, sans agenda précis pour l'instant, afin de se rendre
disponible pour des réunions, des entretiens, ou des rencontres, qui
pourraient lui être proposés dès à présent.

Il compte repartir pour Paris le mardi matin, 21 décembre.

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8 DÉCEMBRE 1999 

*AL DI LA DEL SALDO CINICO*

par Paola Francesconi

Ho percepito in alcune occasioni,anche precedenti il dibattito in corso,
una sorta di strana angoscia, un *desiderio prevenuto*, nei confronti
della possibilità che il vuoto dell'Altro funzioni da attrattore per la
la possibilità di collocarvi una causa comune.

L'Altro del sintomo non esiste più per chi, come noi, se lo è fatto
insegnare dalla passione per l'inconscio, ma se l'inesistenza dell'Altro
diventa una bandiera collettiva, questo vuoto rischia di dare luogo al
culto euforizzante dei narcisismi, vero nome delle differenze con cui ci
si consola. Ed è in questo proliferare di narcisismi che, personalmente,
collocherei la dimensione dell'arcipelago, di cui giustamente E.Laurent
notava che essa fa pendant con la figura dell'Altro castigatore, cioè
con il rischio che la barra dell'inesistenza dell'Altro si trasformi
nella frusta di un ideale vuoto, pronta a colpire il narcisismo. Allora
è più operativo pensare che l'Altro esiste.

La scommessa per la costruzione di una Scuola italiana, tanto più
nell'orizzonte della Scuola-Una, consiste, a mio avviso, nella capacità,
alla portata di tutti, purché lo vogliano, di rimettere in circuito il
saldo cinico della scoperta dell'inesistenza dell'Altro, per realizzare
una dimensione collettiva della verità al di là del suo impossibile.
Fuori dai modelli della Chiesa e dell'Esercito, tale verità collettiva
pertiene più al meno phi della creazione artistica, in cui si
congiungono godimento e castrazione condivisi.

Innalzare la propria castrazione alla dignità del desiderio per una
causa comune, mi sembra rispondere meglio del rapporto di ciascuno con
la Scuola, ben al di là di una spinta garantista al riconoscimento dei
propri narcisismi.

In questo senso la procedura della passe, per prima, poi tutti i
restanti registri della garanzia e della messa a punto del funzionamento
della Scuola futura, fra i quali certamente gli statuti, rappresentano
questo desiderio di far esistere il luogo della causa, nel punto in cui
si circoscrive il proprio limite e non quello dell'altro.

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8 DÉCEMBRE 1999

I  LEGAMI E I POSTI

par Giorgio Tonelli

Rispondendo all'invito del Presidente EEP, Miquel Bassols, e
raccogliendo lo stimolo derivante dalla lettera di Maria Teresa
Maiocchi, propongo alcune riflessioni sul tema del legame in una scuola
di psicoanalisi.      

Partirei dal considerare se si tratti di individuare, di creare un
legame diverso da quello in essere fra  gli uomini. Non credo che sia
questa la strada perché non mi pare che gli psicoanalisti siano molto
diversi dai comuni mortali. E vero che qualcuno ha cercato di connotare
una specificità dello psicoanalista, tra gli altri Anna Freud, che si
limitava  a ricordare che alla origine gli psicoanalisti erano
mediamente un poco più matti degli altri mortali, poi si è detto che
fossero mediamente più ossessivi, in tempi recenti sarebbero mediamente
un poco più perversi. Chissà quale sarà la connotazione attuale?      

Queste affermazioni, in parte condivisibili  nell'ambito tra il serio e
il faceto,  dimostrerebbero che effettivamente gli psicoanalisti sono
dei comuni mortali proprio perché è caratteristica degli uomini di
essere in ogni caso contaminati dalla psicopatologia.     

Un individuo che è passato per l'esperienza della psicoanalisi, come si
auspica  per tradizione che abbia fatto uno psicoanalista, dovrebbe
avere un poco più di disinvoltura rispetto alla propria psicopatologia:
Non nel senso di riderci sopra perché  "male comune mezzo gaudio", (la
psicopatologia è una cosa assai seria)  ma disinvoltura nel senso di 
non fissarsi a mantenerla ad ogni costo e di non fissarsi  a ritenere 
che la cosa non lo riguarda più. E' per questo che Freud suggeriva di
passare dalla poltrona al lettino nel caso uno si trovasse fissato di
nuovo, ai suoi tempi, ed in base alla sua esperienza, consigliava di
ripetere l'operazione ogni cinque anni.     

Dunque non un legame nuovo, tra gli analisti che si ritrovano in una
scuola,  ma una maggiore mobilità che dovrebbe tradursi in rapporti più
cortesi e, soprattutto, più proficui. E' chiaro che per avere rapporti
proficui bisogna essere in grado di accogliere quello che di buono può
venire dall'altro, ma, condizione indispensabile e preliminare, bisogna
ascoltarlo. Ascoltare non è  un affare che va da se; lo sanno bene gli
psicoanalisti che prima di essere in grado di ascoltare, nel senso di
farlo per mestiere, ai nostri giorni, ci impiegano diversi lustri.
D'altra parte si tratta di un mestiere che per il novanta per cento è
fatto di ascolto.     

Per ascoltare e per parlare bisogna essere in relazione, magari "on
line", meglio di persona come faremo a Milano. Quindi saremo tutti a
Milano per ascoltare, per parlare e possibilmente per saperne di più,
per arricchirci di un patrimonio usufruibile con i nostri colleghi, cioè
per  fare scuola.

     Nella contingenza la questione su cui si interroga M.T. Maiocchi e
che  M. Bassols rilancia mette in primo piano le "forme della
inesistenza dell'Altro (grande)" e quali effetti derivano sui legami
nella scuola.     

Mi pare di capire che M. T. Maiocchi ne individui due:     

Un Altro (grande) ma "perforato" che permette di individuarne la
struttura essenzialmente vuota e quindi questo Altro (grande) si riduce
ad un "posto",
     
Un Altro (grande) che pure declamando l'inesistenza dell'Altro (grande)
finisce, (forse perché lo declama?) per "elidere" questo posto vuoto ed
ingabbia gli altri in un gruppo amorfo dove scompare la differenza e la
singolarità e quindi la vita. Insomma questo Altro (grande) mentre dice
che sta uscendo dalla porta rientra poi dalla finestra. In effetti è più
difficile accorgersi di uno che  entra in casa dalla finestra piuttosto
che di uno che  entra dalla porta.

Credo che a molti di noi, se siamo finiti con il fare una psicoanalisi,
ci sia capitato di avere a che fare con  il sentimento di essere
ingabbiati, intrappolati, e c'è voluto molto lavoro per togliere un
Altro (grande) che  non ci faceva vivere e la parte più dura del lavoro
di solito e quella che riguarda il riconoscere la nostra connivenza.     

All'nterno della scuola, l'aiuto di Freud e di Lacan, oltre  al benefico
della nostra analisi dovrebbero farci concludere che l'Altro (grande)
esiste solo nella psicopatologia; sia quella quotidiana, che quella
clinica, che quella sociale. La sua consistenza si sostiene sempre sulla
connivenza, più o meno consapevole. Se l'Altro (grande) è un posto mi
pare che la questione essenziale non sia la dimensione, non si tratta di
cercare di renderlo più piccolo, ma di valutare se è libero (questo
posto) o liberabile o se è occupato in modo inamovobile.     

L'auspicio è che si tratti di un posto prezioso proprio perché
continuamente occupabile e liberabile come avviene quando si parla, poi
si ascolta e poi si parla di nuovo. Un posto discorsivo come dice M. T.
Maiocchi.     

Ogni volta che Tizio ha ricevuto, meglio ha saputo ricevere, un apporto
benefico da Caio vuole dire che Tizio ha permesso o addirittura
preparato il posto per Caio e viceversa.     Fare occupare  a qualcuno 
il posto di Altro (grande) o occuparlo non vuol dire necessariamente
sottomettersi o diventare prepotenti.

Vuole solo dire che bisogna tenere gli occhi aperti e non dimenticare
che di posti ce ne sono due, quello di Soggetto e quello di Altro che
possiamo scrivere sia in maiuscolo che in minuscolo e che comunque hanno
pari dignità

Il guaio è quando Tizio e Caio rimangono fissati e ad  occhi chiusi, non
cambiano mai di posto, ed in questo caso non resta che aspettare che
l'altro crepi.     

E' per questo che i nostri statuti e i nostri regolamenti prevedono,
saggiamente,  le permutazioni dei posti, sappiamo che  la fissità è il
denominatore comune di tutta la psicopatologia. Certo  non bastano le
regole, si possono sempre trasformare in un minuetto.

Da ultimo aiutiamoci  con gli insegnamenti della nostra pratica che
inizia proprio perché qualcuno ci fa occupare il posto di Altro
(grande). A volte le cose non vanno bene perché il paziente non trova il
coraggio, o noi non siamo riusciti a farglielo trovare, di toglierci da
quel posto cosa che gli permetterebbe  di fare la stessa operazione
nella sua vita. A volte succede invece che si libera di noi,
interrompendo la cura, e perdendo l'opportunità di sapere  che l'Altro
grande è solo un posto non una consistenza, equivoco non privo di
effetti patologici specie  nel rapporto con i suoi simili.

Pesaro, 06/12/99

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8 DÉCEMBRE 1999

INFORMATION

Jacques-Alain Miller informe les lecteurs de la liste AMP-Corriere qu'il
a adressé ce jour à 1h30 du matin une lettre personnelle aux AME de
l'Ecole Européenne, Section italienne (SISEP), ainsi qu'à Miquel Bassols
et Eric Laurent, Président et ancien Président de l'EEP.

Il s'agit de : Virginio Baïo, Amelia Barbui, Mario Binasco, Annalisa
Davanzo, Antonio Di Ciaccia, Marco Focchi, Paola Francesconi,
Maria-Teresa Maiocchi, Rosa-Elena Manzetti, Maurizio Mazzotti, et Carlo
Viganò.

En fonction des réponses qui lui seront apportées dans les trois jours,
il s'adressera aux lecteurs de la liste dans le courant de la semaine
prochaine.

Paris, à 18h30

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9 DÉCEMBRE 1999

IL CORAGGIO DELL'UTOPIA

par Erminia Macola

La grande novità dell'analisi è stata per me la scoperta di un luogo
particolare in cui mi potevo esprimere. L'analista non m'imponeva la sua
verità, né mi domandava di essere in altro modo.         

Devo riconoscere però (è stato ripetuto molte volte) che il concreto
dell'analisi stenta a diventare pratica del pensiero analitico. Forse
lusingarsi che questo avvenga merita proprio il castigo del riso; eppure
non mi rassegno a credere che sia impossibile trovare una dimensione di
dialogo che non sia lo schieramento dall'una o l'altra parte. E'
difficile fare un proprio discorso quando si pensa che verrà valutato,
non per quel che dice, ma per sapere dove uno sta.         

Lo schieramento nel nostro caso sacrifica troppo di ciò che si avrebbe
da mettere in campo come una risorsa, qualora si avesse la pazienza, la
cautela, la prudenza di cui ha parlato Celine Menghi per considerarla
come tale. Se non si pratica un elemento di reale apertura si rischia di
disincentivare la partecipazione di tante persone che non prendono
parola, ma che hanno molto da dire e che sono indispensabili per fare la
Scuola.         

Coloro che combattono dovrebbero prendere in considerazione la
possibilità di non imporre a tutti i costi che sono propri di una guerra
con relativa economia di guerra, "silenzio il nemico ti ascolta",
razionamento dei viveri.

Non occorre essere in guerra, si può parlare liberamente, si può avere
un margine di fiducia sulla disponibilità di altri perché "il bello non
resti fuori", e si può forse pensare che una complessità e varietà di
situazioni possano trovare un momento di composizione in cui tutti
riconoscano che la Scuola non si è fatta senza di loro.

S'impone una ricerca di giusto tempo che è il giusto tempo di
qualcos'altro che avverrà, non di ciò che noi faremo; ma questo
qualcos'altro non avverrà senza il nostro giusto comportamento di cura,
operosità, fiducia, attesa per ciò che ancora non c'è, ma che vogliamo
far nascere.Nulla avverrà senza la nostra pazienza, ma nemmeno senza la
nostra impazienza,che è l'altra faccia della pazienza; senza questo
gioco tra intensità del desiderio di creare Una scuola insieme, e non
subordinazione di questo desiderio alla nostra volontà personale. Sono
con voi tutti in questo laboratorio

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9 DÉCEMBRE 1999

NOTAS PARA EL DIBATTITO

par Miquel Bassols

A una semana de lanzado el "dibattito", varios puntos van definiéndose
en la perspectiva de la Escuela italiana. Enumero sólo algunos para
continuarlo, en especial después de haber leido la intervención de
Giorgio Tonelli.

1. La Escuela italiana no podría existir como una entidad autónoma
basada en el simple reconocimiento mútuo de los que se piensan como
semejantes entre sí - semejantes, para el caso, como ya psicoanalistas.
El reconocimiento entre los que se piensan semejantes tiene el problema
de excluir lo que es radicalmente des-semejante entre ellos. Y lo que es
radicalmente des-semejante del prójimo termina, ese es el final del
problema pero nunca su resolución, por reaparecer de la peor manera. Lo
no-semejante, lo des-semejante, vuelve de forma indefectible para
indicarnos que está en el núcleo de todo vínculo asociativo. Tenemos ya
el ejemplo.

2. La Escuela italiana hacia la que nos dirigimos no podría fundarse
entonces en esa "autonomía" del reconocimiento entre los que se suponen
ya analistas ante la mirada de los demás. Por poco que uno siga la
experiencia de la Escuela de Lacan, se hace patente que esa experiencia
incluye en cada nivel algo que rompe esa inercia del reconocimiento
entre pares (ya sea en la función del AE, o también en la del más-uno).
La Escuela del pase es, sin duda, la consecuencia mayor para dar lugar a
ese "algo" disruptivo a contracorriente de la inercia inherente al
discurso del Amo o del Yo. Ese discurso podría resumirse, como me
indicaba hace poco un colega, al estilo de las profesiones delirantes
definidas por Paul Valery: "El Otro no existe... pero Yo sí".

3. La Escuela italiana será una Escuela de y en la AMP, articulada con
las otras Escuelas en la orientación de la Escuela Una en el que la EEP
sostiene su proyeto federativo en lo Múltiple de su realidad. Lo
Múltiple no implica aquí proliferación de unidades aisladas (unidades a
las que nada impediría, por otra parte, ser uniformes a un modelo ideal
de independencia), sino la ordenación en una serie. Hay aquí una
elección que hacer: o bien la comunidad del reconocimiento recíproco que
tiende al reposo, (pero "el reposo absoluto es la muerte", decía
Pascal), o bien la no uniformidad de la serie que la Escuela promueve en
la tensión entre "efecto de grupo y efecto de discurso".

4. En esta disyunción, la regulación estatutaria tiene su función
preeminente en nuestras formas asociativas, pero nada podría regular de
forma automática lo que hace que un vínculo asociativo se convierta en,
despierte a, la Escuela. Tampoco la sola confianza en el mecanismo,
necesario pero no suficiente, de las permutaciones en las instancias
directivas. Más bien al revés, la idea de una máquina permutativa en la
que cualquiera podría ser substituido por cualquiera suele llevar al
adormecimiento generalizado, el mismo en el que reposa el reconocimiento
mutuo de los que ya se piensan semejantes entre sí.

5. La figura de un Otro anónimo es la que se alza entonces detrás de esa
máquina permutativa que funcionaría más allá del uno por uno. Que el
Otro no exista no le impide insistir así como figura de una supuesta
"fijación" maléfica, y que seguiría siéndolo por mucho que se lo reduzca
a un lugar anónimo.

6. Hay tres ideales que, para el Lacan de "La Etica...", no convienen al
psicoanálisis: el ideal del amor humano, el ideal de la autenticidad y
el ideal de la no-dependencia o de una prevención de la dependencia. Una
Escuela de la AMP no podría fundarse sobre ellos.

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9 DÉCEMBRE 1999

DU PÈRE À L'ESCLAVE

par Dominique Laurent

On connaît la thèse de l'inexistence de l'Autre, mise en vogue par E.
Laurent et J.A. Miller il y a plusieurs années. Elle a donné lieu à une
interprétation originale dans la "lettre à Rosy" qui a lancé le débat
sur l'École en Italie : là où l'Autre n'existe pas, dit-on, peut surgir
un Autre dont le trop de présence rend caduque et anonyme toute
différence.

Cela est trop vite dit. Il faut préciser les prémisses du problème. On
parle trop vite de l'Autre. Il faudrait distinguer celui dont on parle.
Il y a par exemple l'Autre de la cure et l'Autre de la civilisation et
du lien social : ce n'est pas le même Autre. Nous pourrions aussi
interroger les facettes de l'Autre considéré dans sa temporalité. 

De quel Autre s'agit-il dans le cas présent ? Comment ses versions se
nouent-elles ou se dénouent-elles, s'appareillent-elles ou se
décomplètent- elles ?

A

Pour le sujet névrosé, l'Autre existe, bien entendu, au début de la
cure. Il est même aux commandes. L'effort de la cure analytique est
précisément, au-delà de l'Odipe, de le frapper d'inexistence. Encore
faut-il en cerner la signification.

Pour qu'il y ait une véritable destitution subjective, il faut pouvoir
distinguer entre ce qui relève du registre symbolique (et en dernier
ressort du signifiant-maître S1) et ce qui relève du registre réel de la
jouissance, épinglée sous S(A). Il faut pouvoir ensuite saisir la
relation entre ces deux registres, condensée dans l'articulation S1,  S(A).
Il faut enfin pouvoir en apercevoir la dimension de fiction. Cela
suffit-il d'ailleurs ?

B

Il y a le temps de la cure, et il y a le temps de la civilisation dans
lequel le sujet s'inscrit.

Dire que l'Autre de la civilisation contemporaine n'existe pas, c'est
dire que les idéaux en tant que tout, sont inconsistants ; l'idéal de la
bonne École tout autant. Ceci n'a pas toujours été le cas. Il y eut des
idéaux qui eurent la vie dure, et purent asseoir de façon décisive la
fonction paternelle, un des tenants du titre de l'Autre. Aujourd'hui,
l'équivalence de tous les idéaux, c'est-à-dire leur interchangeabilité
dans l'inconsistance, fournit une nouvelle donne : le représentant de la
fonction paternelle n'est plus le père traditionnel, le rapport au
signifiant-maître a changé.

a) La fonction paternelle se présente désormais sous la forme ravalée de
l'esclave : croyance folle à celui qui travaillerait pour tous, pour
leur assurer la satisfaction de leurs désirs, et en leur vouant un amour
égal.

b) D'une façon générale, le bon usage de la fonction du
signifiant-maître est d'incarner un désir humanisé qui ne soit pas
hors-la-loi. Aujourd'hui, cette fonction s'incarne dans une figure qui
n'est plus qu'un trognon d'esclave. Rappelons que la position de
l'esclave est celle de celui qui jouit.

Le Père n'est plus le maître : c'est l'aporie à laquelle est confrontée
la clinique contemporaine de la psychanalyse.

Pourtant, on peut observer qu'il existe des sujets capables de soutenir
la fonction par l'expression d'un désir qui ne se réduit pas à
l'esclavage de la mission et de l'idéal.

C

Dans le débat actuel en Italie, de quel Autre parle-t-on? La
présentation d'un «Autre trop présent» est faite de façon trop rapide.

On nous parle d'un Autre de la jouissance au sens de : qui est en
position de jouir. Deux possibilités se présentent :

1. Dans le registre réel de l'Autre épinglé par S(A), c'est du côté
homme, et dans la version freudienne, la figure du père de la horde,
celui qui pourrait jouir de toutes.

2. Dans le registre de la position paternelle contemporaine, c'est la
figure de l'esclave, qui se contente de jouir et de faire ce qu'on lui
dit. Mais pourquoi réserver cette version de la présence jouissante à un
seul, et ne pas l'étendre à tous ? C'est un paradoxe.

En somme, s'agit-il de l'excès de présence d'un maître sous les auspices
du père de la horde, maître abruti de jouissance ? S'agit-il au contraire
d'un excès de présence de l'esclave élevé à cette « dignité »?

D

Quelle réponse le monde contemporain donne t-il à la faillite des idéaux
qui soutenaient la fonction paternelle ? Comment le registre symbolique
traite-t-il la question ?

Le véritable Autre "trop présent" auquel il est fait recours est l'Autre
de la loi. L'Autre de la loi apparaît comme la seule réponse à l'Autre
qui n'existe pas. C'est lui qui doit garantir la distribution de la
jouissance, et indiquer à celui qui incarne la fonction de père comment
se comporter. Cela dégage-t-il pour autant le sujet de son rapport à
l'Autre de son fantasme ? Rien ne l'assure.

Alors se pose la question : où est passé le désir ? On oublie un peu
vite que la position « utile » du maître, lorsqu'elle n'est plus
encombrée des fantasmes d'une jouissance imputée, est celle du désir.

Quand quelques-uns incarnent cette position désirante dans la
psychanalyse pour en faire étude, lien social, École, il est dangereux
de rester captif d'un fantasme aveuglant, qui consiste à croire qu'il
n'y a aucun rapport possible, authentique, pragmatique avec l'usage du
signifiant-maître. En effet, à le croire, nous voilà livrés à un
fantasme d'archipel d'îles, ou d'elles, qui sont autant de forteresses
dans un océan désert.

Voulons-nous d'une École constituée d'un archipel de communautés, à la
manière du Web et de ses sites ? Ne deviendrions-nous pas, comme
l'évoquait Marx dans d'autres circonstances, une pomme de terre à côté
d'une pomme de terre ? Méfions-nous des temps qui courent, ils ne
courent pas forcément vers le meilleur.

Le droit à la différence n'est-il pas une ironie narcissique des droits
de l'homme ? Il pourrait n'être que la revendication d'un mode de jouir
fort éloigné du désir.

Il semble bien que beaucoup ne conviennent que du bout des lèvres que
l'Autre n'existe pas, car il existe bel et bien comme garantie de leurs
fantasmes.