LA PSICOANALISI APPLICATA
par Carlo Vigano


Pensando al tema della psicoanalisi applicata nella prospettiva della
Scuola in formazione mi sono reso conto di quanto questo argomento sia
al tempo stesso centrale per l’esperienza della psicoanalisi e di come i
suoi snodi siano in continua evoluzione. Per non farsi catturare da
analogie, ad esempio di tipo minerario: oro puro e roccia aurifera, il
tema deve essere considerato, come richiama Mazzotti, dal punto di vista
del *rapporto tra psicoanalisi pura e applicata*. Esso riguarda la
politica della psicoanalisi e non e’ riportabile alle scritture
possibili di un rapporto: temporale, causale, quantitativa, amorosa…

Da Freud al primo Lacan, dalla seconda clinica di Lacan all’orientamento
lacaniano promosso da J.-A. Miller non ho trovato una semplice
continuità tematica, la questione dell’applicazione della psicoanalisi
deve essere riformulata ad ogni passaggio per seguire nuove derive che
riguardano la sua stessa articolazione. Così ho dovuto ridurre le mie
pretese: esporrò i temi freudiani, che restano centrali, per poi
limitarmi ad indicare alcuni dei possibili percorsi lungo i quali si può
rileggere la questione.

*La posizione di Freud*

Freud ha usato il termine di *applicazione* della psicoanalisi in senso
forte solo nella lezione 34 dell’ *Introduzione alla psicoanalisi* (1).
Molto più spesso, come sappiamo, si è trovato invece a dover distinguere
la psicoanalisi dalla medicina e dalla psichiatria.

L’attenzione di Freud fu sempre tesa, prima che ad affermare una
qualunque applicazione, ad ottenere il riconoscimento di un’autonomia
disciplinare. La conclusione della lezione esprime bene questa
preoccupazione:

Vi ho detto che la psicoanalisi è nata come terapia, ma non è questa la
ragione per cui ho inteso raccomandarla al vostro interesse, bensì per
il suo contenuto di verità, per quanto essa ci insegna su ciò che
all’uomo sta a cuore al di sopra di ogni altra cosa – la sua stessa
essenza – e per le connessioni che mette in luce fra le più diverse
attività umane. Come terapia è una fra le tante, senza dubbio prima
inter pares. Se fosse priva di valore terapeutico, non sarebbe stata
scoperta sugli ammalati, né avrebbe potuto perfezionarsi per oltre
trent’anni.

Dunque il valore terapeutico costituisce una sorta di accreditamento di
tipo scientifico di un corpo di sapere nuovo, che si potrà utilmente
mettere in connessione con altri saperi.

Due osservazioni su questo sapere:

- Esso trae origine dalla cura dei nevrotici, cioè di quei malati in cui
la componente soggettiva (Freud dice: pscologica) è principale e non
trascurabile.

- Si tratta di un sapere che concerne la verità.

Seguirò lo schema di questa lezione e quindi lascio per ultima la
questione spinosa dell’applicazione alla medicina ed alla psicosi. Su
questo una cosa va subito rilevata, perché traspare da tutti gli
interventi precedenti: per Freud il sapere del medico, che si basa
sull’osservazione, è un sapere pratico, di una natura differente da
quello che l’esperienza della psicoanalisi permette di elaborare.
Quest’ultimo non si limita alla tecnica della terapia, non è solo
saperci fare, ma riguarda delle strutture del soggetto, prima
sconosciute, che lo implicano nel suo essere, in particolare nelle sue
relazioni con la realtà e con il sociale. L’unico momento in cui non fa
questa distinzione, ed è solo per ragioni argomentative, è nello scritto
*L’analisi dei non medici* (2) dove deve dimostrare la pariteticità tra
il sapere terapeutico del medico e quello dello psicoanalista, nella
distinzione delle patologie a cui si applicano (e su questo risvolto
dell’applicazione, appunto, ritornerò).

Il nuovo sapere introdotto dall’analisi innanzittutto suscita delle
resistenze (3), legate al metodo inconsueto e alle scoperte circa la
centralità della sessualità. Essa incontra anche una difficoltà
specifica nella struttura umana del narcisismo (4).

Per controbilanciare queste reazioni Freud nel 1913 fa una prima
incursione nel terreno delle applicazioni (5) e le divide in due gruppi:
nel campo della psicologia e da parte delle scienze non psicologiche.
L’elenco di queste ultime è lungo: linguistica, filosofia, biologia,
ontogenesi (evoluzionismo e sviluppo umano), storia della civiltà,
estetica, sociologia, pedagogia.

Nella lezione 34 la dialettica tra le forze che si oppongono alla
psicoanalisi e gli argomenti che invece dovrebbero suscitare interesse è
ripresa non solo con toni meno polemici, ma direi con una maggiore
propensione a farsi direttamente promotore dell’applicazione della
psicoanalisi. Anche se non viene superata la topologia diciamo così
topografica, della distinzione dei campi, le tre parti della conferenza
rendono molto più articolati i tre momenti, quello delle precisazioni
sui maggiori fraintendimenti correnti circa la psicoanalisi (non più
soltanto relativi alla scienza e alla cultura ufficiali, ma anche a
quelli generati da alcuni suoi allievi), quello sulle applicazioni (che
non lascia solo ad altri, ma dove si implica come movimento analitico),
cui è affidato un compito molto più prossimo a quello della cura – di
dimostrazione – e infine quello degli orientamenti, che riguardano
appunto la terapia e l’apporto dell’analisi all’individuazione delle
strutture patologiche.

Freud individua 5 campi di applicazione della psicoanalisi:

1. *…comprendere l’ostilità che il mondo contemporaneo ci dimostrava
perché ci occupiamo di psicoanalisi*.

2. Numerosi campi del sapere, possiamo pensare all’elenco precedente, ma
questa volta essi vengono raggruppati sotto la dizione *scienze dello
spirito* (mitologia, storia della civiltà, etnologia, scienza delle
religioni, ecc.). Di questa applicazione viene affermata una premessa:
esiste una *intrinseca identità tra i processi patologici e i processi
cosiddetti normali*, per cui la psicoanalisi è diventata una *psicologia
del profondo*. C’è una difficoltà a questo livello: gli psicoanalisti
sono dei dilettanti in questi campi del sapere e possono essere sentiti
dagli studiosi come degli intrusi. Ora però vi sono delle persone che
studiano la psicoanalisi per utilizzarla nel loro campo specifico e
danno così il cambio ai pionieri psicoanalisti. Queste applicazioni
hanno un valore di conferma per la psicoanalisi e vengono definite come
*applicazioni non mediche dell’analisi* (6).

3. *Un tema…ricchissimo di promesse per il futuro, forse il più
importante dei compiti dell’analisi…l’applicazione della psicoanalisi
alla pedagogia, all’educazione della prossima generazione*. Essa si basa
su due dati dell’analisi: la scoperta della sessualità infantile e la
teoria del trauma e della rimozione. Freud afferma che i bambini sono
*soggetti adattissimi per la terapia analitica* e si chiede se si possa
parlare di una profilassi delle malattie nervose. Sarà da sviluppare la
risposta che egli dà: *sarebbe verosimilmente molto efficace,
presupporrebbe anche *un assetto sociale completamente diverso*. Il
criterio per l’applicazione della psicoanalisi all’educazione va oggi
cercato altrove*. E aggiunge che non c’è un optimum universale, perché
se si può pensare di prevenire l’influsso dei traumi accidentali
dell’infanzia, si deve poi fare i conti con *la forza di una
costituzione pulsionale che non si lascia soggiogare*. A questo
proposito è interessante la notazione che *l’analisi degli insegnanti e
degli educatori è la misura profilattica più efficace*. La stessa cosa
non viene mai affermata a proposito della medicina e della psichiatria.

4. Indagini sulla genesi e la prevenzione della delinquenza giovanile e
della criminalità. Vedremo più avanti come in una società come la
nostra, a capitalismo avanzato, questo tema si allarga alla
considerazione dell’adolescenza e del suo rapporto con la legge quando
l’Altro non esiste.

5. *Porre all’analisi uno scopo più elevato, che si sia svincolato dalle
esigenze sociali dominanti*, dice Freud, è un compito che *esorbita
dalla legittima funzione dell’analisi…nella psicoanalisi sono contenuti
sufficienti elementi rivoluzionari per garantire che chi è stato da essa
educato non si porrà mai, più avanti nella vita, dalla parte della
reazione e della repressione*. Questa attitudine politica freudiana (che
potremmo qualificare come liberale), per cui non c’è bisogno di fare
dell’analisi una *Weltangschauung* (7), dato che l’esperienza stessa
dell’analisi costituisce una denuncia del totalitarismo, verrà messa in
discussione più avanti in relazione all’attuale orientamento lacaniano.

Venendo a parlare dell’analisi come terapia Freud riprende,
aggiornandoli, temi trattati in precedenza. Innanzittutto confuta che
debba essere un’indagine statistica sui risultati a validare l’analisi.
Il processo non è criticabile con metodi statistici, che non ne
coglierebbero mai la reale struttura, inoltre irride sulla guarigione
come criterio, lasciandone volontieri il primato ai *miracoli della
Santa Vergine*.

Per quanto riguarda il rapporto con la psichiatria e con le psicoterapie
non analitiche si può osservare uno sviluppo della posizione freudiana.
Nel 1913 aveva sottolineato l’importanza dell’insegnamento della
psicoanalisi nell’addestramento del medico (8), per un doppio motivo: al
medico permette di essere meglio avvertito circa le componenti
soggettive della malattia e quindi di non fare brutte figure di fronte
ai guaritori che ne abusano, allo psichiatra fornisce una comprensione
strutturale della malattia che gli eviterebbe una subordinazione
umiliante all’organicismo medico. Nella lezione che stiamo commentando
Freud è molto meno ottimista e avverte tutto il rischio che ha
comportato quella che oggi chiameremmo *integrazione* della psicoanalisi
nella medicina. I rischi che vede sono due: da una parte l’annacquamento
dell’analisi da parte di chi *non ha accettato l’analisi nella sua
interezza* e dall’altra l’eccessivo sperimentalismo di quegli analisti
che vorrebbero curare ogni malattia con l’analisi, senza tener conto dei
fattori che ne limitano l’efficacia.

Una considerazione conclusiva sulle posizioni di Freud a proposito di
psicoanalisi applicata. Si possono distinguere due tempi della sua
concezione. In un primo momento l’applicazione è pensata a partire dalla
scoperta di un campo di sapere specifico dell’analisi, quello della
dipendenza dal significante del sintomo e quindi delle strutture
soggettive, della verità, affermato come sapere che ha un’applicazione
terapeutica ed una non medica. In un secondo tempo la distinzione si fa
più interna alla stessa dottrina analitica: vi sono strutture soggettive
che sono legate alla rimozione, al gioco dei sembianti ed altre legate
invece alla *costituzione*, ad una forza che, se non è modificabile, è
però isolabile da parte dell’analista secondo vie differenti da quelle
del sapere chimico-fisico attribuito al medico. L’applicazione allora si
duplica tra quella che implica direttamente l’analista stesso, il
riconoscimento del reale del godimento e quella che è utilizzazione del
sapere analitico in altre pratiche che riguardano la soggettività.

*Con Lacan*

Lacan comincia a mettere a tema la psicoanalisi applicata nel momento in
cui si tratta per lui di fondare una scuola, nel 1964. Il concetto di
*Scuola* è fondamentale perché contiene il punto di avanzamento che
Lacan opera rispetto all’eredità freudiana, avanzamento che va di pari
passo con l’insegna sotto la quale egli mette il suo insegnamento, un
ritorno a Freud. Ciò chiarisce come non si tratti di indicare con il
termine *scuola* una corrente nella psicoanalisi, ma di compiere
quell’atto che era implicito nella scoperta freudiana: la sostituzione
della topologia dell’Internazionale, centrata su un interno, cui era
affidata la purezza analitica, con quella che anticipa il nodo borromeo:
una scuola appunto, che include in esclusione interna l’applicazione
della psicoanalisi. Ciò permette di abbandonare il tormentone freudiano
della terapia (*io non sono un entusiasta della terapia*) e quindi della
soglia medico/non medico.

La ragione istituzionale della scuola passa dalla psicoanalisi (la
conservazione e trasmissione della dottrina analitica) allo
*psicoanalista della scuola* (9). Tutto ciò è ben espresso nell’*Atto di
fondazione del 21 giugno 1964* (10) dove si dice che *ogni impresa
personale metterà il suo autore nelle condizioni di critica e di
controllo, cui sarà sottoposta nella Scuola la prosecuzione di ogni
lavoro. Questo non implica affatto una gerarchia che parta dal basso, ma
un’organizzazione circolare il cui funzionamento, facile da programmare,
si affermerà con l’esperienza*.

La circolarità si incardina su tre anelli: Sezione di psicoanalisi pura,
Sezione di psicoanalisi applicata e Sezione di recensione del campo
freudiano. Mi sembra di grande attualità la definizione delle Sezioni 2
e 3, per cui ne riporto ampi stralci. Per la psicoanalisi applicata:

Vi saranno ammessi dei gruppi medici (11), che siano o no composti da
soggetti analizzati, purchè siano in grado di contribuire all’esperienza
psicoanalitica: attraverso la critica delle sue indicazione tramite i
suoi risultati; attraverso la messa alla prova dei termini categoriali e
delle strutture che vi ho introdotti come capaci di sostenere la linea
corretta della prassi freudiana. Questo tramite l’esame clinico, le
definizioni nosografiche, la posizione stessa dei progetti terapeutici.

Per la recensione del campo freudiano:

Essa curerà innanzittutto la rassegna e la censura critica di tutto ciò
che offrono in questo campo le pubblicazioni che ritengono di esservi
autorizzate…Mettere in luce i principi da cui la prassi analitica deve
ricevere il proprio statuto nella scienza…Comunicare ciò che dello
strutturalismo instauratosi in talune scienze può chiarire quello di cui
ho dimostrata la funzione nella nostra – e, in senso inverso, ciò che
dalla nostra soggettivazione quelle stesse scienze possono ricevere come
ispirazione complementare.

Nella *Proposition du 9 octobre 1967* (12) Lacan sintetizza questa nuova
topologia dell’applicazione della psicoanalisi, utilizzando la struttura
del piano proiettivo. La premessa è quella per cui la critica cui la
scuola sottopone l’esperienza della psicoanalisi, la sua elaborazione e
il suo cumularsi, devono uscire dalla chiusura dell’esperienza stessa.
Questo è esigito dalla *natura dell’après-coup nella significanza*.

…In conformità con la topologia del piano proiettivo, è all’orizzonte
stesso della psicoanalisi in estensione, che si annoda il cerchio
interno che noi tracciamo come beanza della psicoanalisi in intensione.

Accenno soltanto ai tre punti di fuga che indica Lacan per descrivere
questo orizzonte della psicoanalisi in estensione (13): nel simbolico il
mito edipico, senza di cui la psicoanalisi in estensione diverrebbe un
delirio. Nella nostra clinica, quella di oggi, dell’epoca in cui l’Altro
tende a vacillare, sappiamo quanto sia importante, ad esempio, vegliare
sul modo di riferirsi alla famiglia, perchè non sia sociologico, ma
strutturale. Nell’immaginario: quale è l’unità che esiste oggi in una
società di psicoanalisi e, per estensione, aggiungerei, in una
istituzione sociale? Infine nel reale: la mondializzazione, sotto la
spinta universalista della scienza, porta ad un *estendersi sempre più
violento dei processi di segregazione*.

Un accenno esplicito alla natura borromeica della Scuola verrà fatto da
Lacan nel momento della sua dissoluzione.

Un’altra serie di considerazioni sulla psicoanalisi applicata ci viene
fornita dal rovesciamento che Lacan ha operato ad un certo punto del suo
insegnamento del primato del simbolico in quello del reale (con
riferimento al godimento): da un Altro all’altro. Questo apre due
prospettive inedite: una nuova clinica e la rivoluzione dei discorsi. La
clinica non è più semplicemente *tutto ciò che si dice in un’analisi*,
ma al contempo viene definita come *l’impossibile da sopportare*,
accanto alle classiche strutture nosografiche nasce un discorso del caso
per caso, delle sempre nuove metafore sintomatiche, dell’invenzione
soggettiva per far fronte al godimento. Lacan arriva allo stesso tempo
ad aggiungere un proprio campo a quello freudiano, il campo di forze del
godimento: *L’intrusione nel politico non si può fare se non
riconoscendo che non c’è discorso, e non solo quello analitico, che del
godimento, perlomeno quando ce se ne attende (spera) il lavoro della
verità* (14). All’universale della scienza Lacan affianca l’universo dei
discorsi, che implica anche un fuori discorso e che ci fa mettere in
dubbio che *il lavoro generi all’orizzonte un sapere assoluto, neppure
un qualche sapere*.

Una prima conseguenza a livello dell’applicazione della psicoanalisi fu
quella di estenderne i significati di rinnovamento discorsivo a livello
dell'istituzione universitaria, di strutturare un insegnamento che
sottraesse al sapere il suo potere assoluto, rimettendo l’S1 al suo
lavoro, che è quello di dividere il soggetto: l’istituzione della
*Section clinique* di Parigi.

Anche la fondazione del *Champ freudien* risponde all’esigenza
dell’estensione della psicoanalisi, in particolare a livello delle
pratiche sociali che Freud aveva chiamato *professioni impossibili*:
governare, educare, curare.

*L’orientamento lacaniano*

J.-A. Miller ha sviluppato un orientamento, ha cioè utilizzato
l’insegnamento di Lacan in modo da permettere di dare alle questioni
freudiane una formalizzazione adeguata a ciò di cui si tratta nella
situazione attuale della civiltà e ai nuovi *percorsi che portano alla
psicoanalisi*, come si esprime E. Laurent (15). Come vedremo il
transfert sulla psicoanalisi, diventando di massa, si è negativizzato,
ma questo non fa che porre in termini nuovi il bisogno di analisti: *Il
compito è la psicoanalisi, l’atto è ciò per cui lo psicoanalista si
espone a risponderne* (16). In sostanza non c’è più un esterno capace di
dare un orientamento al campo freudiano nel momento in cui cade
l’extraterritorialità che Freud ha sempre difeso per la psicoanalisi.

Elenco, a mo’ di esemplificazione, alcuni *items* secondo cui si possono
rileggere secondo questo orientamento i campi applicativi individuati da
Freud.

- La critica della psicologia (17) operata da Lacan ci permette di non
dispiacerci del crollo delle *scienze dello spirito* (scienze umane) e
quindi di andare agilmente a mettere il naso nella pretesa di promuovere
la scienza come linguaggio universale. La mappa del genoma, la
catalogazione dei neurotrasmettitori, le localizzazioni funzionali delle
aree cerebrali aspirano a diventare tanti dialetti di un’unica lingua,
all’analista la parola, anche se non sarà l’ultima. La psicologia del
profondo diventa la logoscienza.

- Il bambino: sempre meno sorprende la sua sessualità, sempre meno
infatti essa è Altra rispetto a quella dell’adulto (bambino
generalizzato). Lo psicoanalista di orientamento lacaniano può riaprire
le vie della sorpresa: l’Altro sesso è ciò che propone Lacan.

- L’economia politica, questo è un nuovo campo d’applicazione, un *campo
lacaniano*, l’analista dovrebbe sapere che il plus-godere non si scambia
e per questo il ricco non paga mai il sapere. E’ un punto fermo, non
riducibile ad un calcolo dell’entropia del sistema. Non è detto che
l’analista ne debba approfittare per farsi della pubblicità, c’è invece,
in questo punto di reale, la radice di un’autorevolezza che merita di
fondare un’etica dell’analista (che ne dice ad esempio del matrimonio?).

- Anche la recensione del campo freudiano può trovare un orientamento,
non più come guardiano dell’ortodossia, ma nel senso in cui, ad esempio,
Miller ci parla di una *biologia analitica*.

- Infine la stessa Scuola Una è un campo di applicazione: critica
dell’immaginario dell’Uno ecclesiale e dimostrazione di come il
transfert può arrivare a bucare la coppia sapere-potere in
un’istituzione sociale. Faccio l’ipotesi che l’applicazione, il
molteplice, sia ciò che può mantenere aperta la beanza del sapere, alla
condizione di sviluppare il metodo della passe: dimostrazione attraverso
la testimonianza.

In sintesi si può dire che per Freud era impossibile sfuggire, per
separare la psicoanalisi pura da quella applicata, al ricorso alla
terapia. Nell’orientamento lacaniano, dove il campo non è definito da un
esterno, la distinzione si inscrive nel piano proiettivo, dove la beanza
dell’intensione, la psicoanalisi pura non è altro che la formazione
dell’analista.

In questa prospettiva allora per la tenuta borromeica della Scuola non
basterebbero le tre Sezioni dell’Atto di fondazione, essa sarebbe sempre
legata al quarto anello, sinthomo sociale, che è la Scuola Una. Allora
il liberalismo freudiano deve cedere il passo ad una militanza o da una
propaganda? Nella conferenza citata Lacan lo nega recisamente. Se l’atto
è *impegnarvi gli altri* (nel compito dell’analisi), l’articolazione tra
compito e atto – dice Lacan – deve vertere sulla messa a punto di un
desiderio. L’applicazione non è l’oggetto di questo desiderio
dell’analista, ma una sua conseguenza. Se non fosse così anche la Scuola
non sfuggirebbe allo standard di ogni istituzione e quindi ci dovremmo
interrogare su quale sia il godimento di questa istituzione.

*La clinica come ricerca*

C’è un punto che mi pare possa riassumere, nella prospettiva concreta
della Scuola in formazione e del CIRIS, la direzione che l’orientamento
lacaniano imprime alla psicoanalisi applicata: percorrere le *nuove
frontiere della clinica*. Si tratta di sviluppare la prospettiva
dell’etica della psicoanalisi, centrata sul desiderio – detto
*dell’analista*. Di fronte ad una clinica tutta centrata sulla
costruzione egoica di un self adeguato (il che lascia poi il compito di
affrontare i problemi reali, etici, con commissioni di esperti)
l’applicazione della psicoanalisi deve ridare dignità e statuto
discorsivo alle metafore del sintomo che si vanno costruendo oggi.
Andando ad ascoltarle caso per caso, laddove la nuova distribuzione dei
carismi sociali fa nascere le *epidemie isteriche*, così come nelle
forme di angoscia o di panico in cui la techne abbandona l’uomo
contemporaneo (18).

La Scuola Una è l’occasione per affrancare l’applicazione dall’idea di
un interno e di un esterno, che la fissa ad una definizione terapeutica.
L’applicazione, che è responsabilità dello psicoanalista, viene a
prendere il posto di quella che veniva pensata come *l’indicazione* per
la psicoanalisi (19). Oggi non vi sono più questi personaggi autorevoli
(medici, educatori, sacerdoti) che inviano qualcuno dallo psicoanalista.

Per pensare l’applicazione dobbiamo tener conto del tipo di dialettica
con cui lo psicoanalista coglie l’essere del soggetto, il suo passare da
istituito ad istituente: la dialettica dell’Uno e dell’Altro. C’è
dell’Uno a condizione di passare per l’Altro. L’Altro non è il
molteplice, ma ciò per cui l’Uno del godimento evita di cristallizarsi
narcisisticamente, di farsi catturare dalle immagini sociali in una
disseminazione consumistica dell’Uno. L’Uno non senza l’Altro rompe con
le coppie teoria/pratica per aprire all’articolazione del compito con la
causa. Occuparsi e confrontarsi sull’anoressia, la tossicodipendenza o
la psicosi esigono degli strumenti di comunicazione e di dibattito
proprio perché, all’origine, nascono da un desiderio. Non possono e non
devono diventare modelli applicativi secondo il vecchio stile della
*psicoterapia a indirizzo analitico*.

Militare perché la metafora del sintomo ritrovi la sua dignità di
discorso soggettivo, di *scelta* per usare un riferimento freudiano, è
la nostra proposta per uscire dalle impasse della democrazia nella
società mondializzata, è una via che può portare a ripensare il
fondamento del diritto e prevenire le perversioni totalitaristiche, una
volta che il discorso del padrone ha preso le forme di quello
capitalista. Rinnovare lo stile dell’S1 si può fare partendo dalla nuova
clinica, ritrovando le vie per far oscillare nel transfert causa e
sapere.

I nuovi sintomi non basta individuarli e trattarli (questo è il rischio
che ciascuno deve correre), occorre giungere al momento della
testimonianza, a quell’ortoprassi che contiene l’idea di giustizia a cui
il diritto deve piegarsi. Perché la testimonianza giunga a destinazione
occorre un indirizzo, nel senso della casella postale, solo allora il
desiderio dell’analista trasformerà il nuovo sintomo in significante
nuovo, in elaborazione di sapere.

Diversamente da quanto pensava Freud, oggi, ancor più di ieri,
l’applicazione è a carico dell’analista e non può essere lasciata ai
ricercatori delle diverse discipline. Come fare allora a mantenere il
contatto con la ricerca scientifica e quindi la credibilità
dell’esperienza psicoanalitica? Credo che il problema non si ponga
diversamente da come si presentò ai pionieri della psicoanalisi (e a
Lacan): studiare le nuove frontiere della ricerca e individuare i nodi
strutturali in cui le strutture del soggetto si profilano (ho fatto
l’esempio degli studi sulla plasticità genetica e della nuova
linguistica neuroscientifica, ma anche l’economia politica e tanti altri
campi del sapere offrono spunti), non per trovarvi un fondamento, ma per
*isterizzare* quel sapere, per fornire nuovi punti di vista.

Senza di questo interesse per la scienza ogni applicazione rischia di
riprodurre una figura polivalente di terapist, di risolutore di
conflitti e di tecnico del benessere, secondo il modello americano. La
clinica è per noi anche l’occasione di far progredire il metodo
dell’inferenza psicoanalitica, ne puramente induttivo, ne puramente
deduttivo. Più che andare a riprendere termini come abduzione, credo si
tratti di trovare le vie per dimostrare la pertinenza del reale della
clinica, per rendere trasmissibile quel reale diverso da quello della
scienza di cui Lacan parla nella *Lettera agli italiani*. Solo così si
potrà uscire dalla tendenza o dall’accusa di autoriferimento.

*La Scuola e le istituzioni*

Trovo feconda la distinzione proposta da Di Ciaccia tra Scuola come
soggetto-analista e come soggetto-analizzante. Essa ci può orientare in
un altro campo dell’applicazione, quello per cui un *atto di
Scuola…nella solitudine del soggetto* (20) non debba essere legato alla
condizione di un particolare *setting*. Solo pensando alla Scuola come
soggetto analizzante si potrà parlare di scansioni edi rettifica
soggettiva nel lavoro in istiuzione. Anche qui tra psicoanalisi pura e
applicata bisogna articolare un rapporto e non credere di prendere
l’istituzione analitica come modello per qualunque contesto
istituzionale.

Lo psicoanalista che opera in una istituzione deve confrontarsi con gli
altri operatori tenendo conto almeno di questi due elementi:
l’istituzione veicola un sembiante dell’oggetto transferale e al
contempo essa comporta un proprio godimento (ad esempio la spinta a
durare nel tempo). Di qui la tendenza, da parte di chi fa un’esperienza
di Scuola, a costruire dei luoghi dove si possano porre dei paletti
capaci di far giocare questi elementi nella messa al lavoro di una
divisione soggettiva.

Si può pensare di cominciare a raccogliere la testimonianza di atti di
scuola che avvengono nel lavoro *à plusieurs*, sia che esso nasca
dall’iniziativa di analisti e quindi con dei paletti ben piantati, sia
che si svolga in istituzioni che hanno un’altra origine. Essa non potrà
limitarsi a descrivere le scansioni soggettive del caso clinico, ma
dovrà costruire quello che, con felice espressione, Focchi, proponendo
un Laboratorio a Milano, ha chiamato *evento istituzionale*.

(1) *Schiarimenti, applicazioni, orientamenti*, in F. O. , vol XI, pp.
242-261
(2) Vedi in particolare il cap. 6, F. O. , vol X, pp. 396-404
(3) cfr la *Lezione 1*, F. O:, vol VIII, pp. 199-207 e *Le resistenze
alla psicoanalisi*, F.O., vol X, pp. 49-58
(4) *Una difficoltà della psicoanalisi*, F.O., vol VIII, pp. 657-664.
(5) *L’interesse per la psicoanalisi*, F.O., vol VII, pp. 249-272.
(6) *L’uomo Mosé*, F.O., vol XI, p. 339, la dizione viene impiegata a
proposito dell’iniziativa editoriale che ha portato alla fondazione
della rivista *Imago*.
(7) *Lezione 35*, F.O., vol XI, pp. 262-284.
(8) *Bisogna insegnare la psicoanalisi nelle università?*, F.O., vol IX,
pp. 33-35
(9) vedi a questo proposito *Situazione della psicoanalisi e formazione
dello psicoanalista nel 1956*, in *Scritti*, vol. I, pp. 453-487, dove
si legge: *Questa ambigua riverenza [mostrata dalla signora di mondo]
non è poi così lontana come sembra dal credito, certo più grave, che la
scienza ci accorda. Giacché, se volentieri essa nota la pertinenza del
fatto ritenuto riguardarci, lo fa però *dall’esterno*, e con la riserva
della stranezza, che ci si concede, dei nostri costumi mentali*
(10) Contenuto in allegato all’ *Annuaire 1982 de l’Ecole de la Cause
freudienne* e solo parzialmente riportato nell’ *Annuario* della SISEP.
(11) Non mi pare di forzare il testo dicendo che oggi parleremmo allo
stesso riguardo di *equipe cliniche*.
(12) Vedi *Annuario* della SISEP.
(13) Il rapporto tra intensione ed estensione è stato messo a punto nel
1892 da Frege, che ha introdotto questa distinzione fra due classi di
significati: i significati come *estensioni* che rappresentano il
riferimento concreto delle configurazioni linguistiche e i significati
come *intensioni* che ne rappresentano il contenuto concettuale. Tenendo
conto del precedente riferimento di Lacan alla struttura della
*significanza*, possiamo qui dire che l’estensione costituisce il
significato prodotto dal significante psicoanalisi.
(14) J. Lacan, *Le Seminaire. Livre XVII. L’envers de la psychanalyse*.
Seuil Paris 1991, p. 90.
(15) E. Laurent, *Les chemins qui mènent à la psychanalyse*, in Mental
n.5, luglio 1998, pp. 5-8.
(16) J. Lacan, *Raison d’un échec*, in Scilicet n.1, 1968, p. 47.
(17) Un esempio tra tanti: J. Lacan, *Ibidem*, p. 43.
(18) Cfr, E. Laurent, *ibidem*.
(19) Questa idea è sviluppata da un intervento di J.-A. Miller, *Les
contre-indications au traitement psychanalytique*, contenuto in Mental
n.5, luglio 1998, pp. 9-17.
(20) J.-A. Miller, *Discorso di Torino*